SANGUINETI, IL ROMANZO E, PER INCISO, IL PRESTIGIO

Ogni tanto la posta elettronica
riserva delle soddisfazioni (ed è un bene, perché negli ultimi giorni, fra trepidi
inviti a votare per il libro dell’anno e la scoperta di essere stata inserita
senza saperlo in una giuria letteraria, stavo seriamente pensando di cambiare
account).

Per esempio, Lello Voce mi segnala la nascita di un
aggregatore di siti di poesia, il PoeGATOR. Visitate.

Per esempio, Francesco Longo
mi invia un suo intervento (uscito sul Riformista) che riapre
un’antica discussione (e male non fa).

Prima di lasciarvi alla
lettura, due segnalazioni:

Uno: la vostra eccetera sarà in
quel di Berlino, per cose legate alla rete e all’editoria, da domani a
mercoledì sera. Magari riesco a dare un’occhiata al blog, ma non garantisco.

Due: l’entusiasmo, stavolta, non riguarda un libro, ma un
film (da cui, però, molti narratori dovrebbero prendere esempio per la costruzione
della storia, e per le implicazioni che ha, e per le tematiche che tocca- in
ordine alfabetico, ambizione, individualità, invidia, meraviglia,
verità-e-illusione eccetera). Ovvero: andate a vedere The prestige.

E state bene, ovvio.

L’intervento di Sanguineti che proponeva
di restaurare “l’odio di classe” non mi ha stupito. Ho incontrato le idee di
Sanguineti all’università, e come tutti, credo che i suoi saggi su Pascoli, su
Gozzano o sul liberty siano imprescindibili per chi studia il Novecento. È
affascinante il suo atteggiamento radicale, la sua tensione politica, la sua
avversione verso i compromessi, e il fatto che sia simpatico: un vecchietto
ruvido ma pieno di humor. Tuttavia, negli anni, mi sono convinto che egli
odiasse la letteratura, così quando l’ho sentito parlare di odio di classe mi è
dispiaciuto, ma un po’ me lo aspettavo. Uno che ha ribadito infinite volte che
il romanzo è borghese e che bisognava far fuori il romanzo, prima o può finire
per dire quelle cose.

Se guardo allo stato attuale della
letteratura italiana, penso che le idee di Sanguineti siano state più che
profetiche, responsabili dello stato attuale del romanzo italiano. In Italia la
forma romanzo è stata mortificata da attacchi precisi della neo-avanguardia che
hanno impedito un laboratorio di alto livello. Chi poteva far crescere il romanzo
lo ha abbandonato, considerandolo un binario morto, e volgendo lo sguardo
altrove. E se oggi il romanzo è affidato a Giorgio Faletti, o a Susanna Tamaro,
o ai giallisti è colpa anche di Edoardo Sanguineti. Cercherò di spiegare il
perché.

Nell’idea di avanguardia di Sanguineti
l’unica forma possibile di narrativa non era il romanzo bensì l’anti-romanzo.
Il romanzo era una forma borghese che andava fatta esplodere perché si
trasformasse la società ingiusta che gli stava intorno. La letteratura cioè era
considerata non un fine, ma il mezzo, lo strumento per un cambiamento politico
che riguardava ciò che le era esterno. I veri intellettuali, quelli impegnati,
dovevano sovvertire il linguaggio e le strutture romanzesche. Chi non lo
faceva, era uno scrittore per femminucce. Non è un caso che una delle polemiche
di Sanguineti più note sia stata proprio quella con Giorgio Bassani che era uno
dei pochi che sapeva cosa fosse la letteratura. Infatti uno scrisse Capriccio
italiano (1963), l’altro Il
giardino dei Finzi-Contini (1962). Sanguineti
cioè dava vita ad un’opera oscura e indecifrabile, se non per una cricca di
accademici (e lo faceva in nome delle masse). L’altro scriveva un romanzo vero,
incidentalmente politico, che tutti potevano leggere. Bassani con quel romanzo
riusciva a far crescere il lettore (anche eticamente e civilmente) facendolo
tremare con le metafore. Sensibilizzò chi lo leggeva descrivendo partite a
tennis con colpi “ciechi”, in pomeriggi che diventavano di colpo senza luce. La
morte fuori scena di Micòl Finzi-Contini fa odiare i regimi più di tutta la
letteratura d’avanguardia messa insieme.

Sanguineti e gli intellettuali della
neoavanguardia si occupavano invece di mettere mine nel linguaggio, e nelle
forme metriche, dettando in questo modo l’identikit del perfetto intellettuale.
L’inconveniente di quella tesi era che fosse sbagliata, ma qualcuno,
consapevole o no vi ha creduto.

In Italia si è assistito così ad una
separazione. Gli intellettuali dediti alle loro labirintiche opere illeggibili
hanno lasciato il romanzo nelle mani di chi non era engagé, non aveva alle
spalle una visione forte della letteratura, né aveva alcun tipo di messaggio da
lanciare perché la società invertisse la rotta.

Una delle prove più evidenti che la tesi
dei neoavanguardisti non fosse sana, mi pare possa essere la letteratura
israeliana contemporanea. Nel novembre scorso a Tel Aviv David Grossman ha
tenuto uno dei discorsi più lucidi, forti, e d’impatto politico degli ultimi
anni, diretto anche contro il proprio governo. I tre intellettuali israeliani
che, si condivida o no le loro posizioni, sono le voci più rilevanti di chi non
fa politica di professione, sono anche tre scrittori, autori di romanzi veri:
David Grossman, Abraham Yehoshua e Amos Oz. I loro testi sono tra i migliori
romanzi della letteratura mondiale (capaci anche di sperimentare forme nuove,
rinnovare le strutture narrative, riflettere sul linguaggio) ma non sono certo
degli anti-romanzi. Eppure lì, dove la neoavanguardia non ha screditato la
narrativa, la forza politica e militante degli intellettuali è piena e
indiscutibile.

Le obiezioni possibili a questo discorso
sono molte, la più immediata è che quando parlava Sanguineti le cose in Italia
erano diverse, e che c’era bisogno di Laborintus (1956) e non del Gattopardo (1958). Personalmente non ci credo, ma di questo si
potrebbe discutere, la domanda comunque che vorrei fare a Sanguineti è questa:
crede ancora in quella sua tesi? Col tempo, si è accorto che concentrarsi sul
linguaggio e deformare la narrativa non era la strada per il cambiamento
sociale? Si è accorto che il danno prodotto dalla neoavanguardia nei confronti
della letteratura italiana è maggiore dei suoi benefici?

Apprezzo
molto la sua recente virata verso la cultura pop (alla lunga le élite sono
noiosissime). Ricordo la sua presenza al Campiello, e mi dispiace che il suo
testo sia stato escluso dall’edizione del Festival di San Remo del 2007. Le
chiederei, a questo punto, una mossa modaiola. In tempi in cui pure la chiesa
chiede scusa e i vescovi si licenziano, lei, chierico, non vuol proprio
chiedere scusa alla letteratura?

107 pensieri su “SANGUINETI, IL ROMANZO E, PER INCISO, IL PRESTIGIO

  1. Sì, hai ragione su The prestige, è veramente un ottimo film. Sono uscita dal cinema con un po’ di curiosità riguardo al romanzo da cui è tratto. Sai qualcosa… merita di essere letto?
    Anna Luisa

  2. L’intervento di Longo è lucido e motivato, e credo che abbia sostanzialmente ragione su Sanguineti. Nel condividerlo, mi sento di obiettargli che:
    1. (per fortuna) Sanguineti non ha avuto il potere di allontanare dal romanzo chi avrebbe potuto cambiarlo. Per due ragioni: faccio fatica a pensare a romanzi mancati da parte dei 63ini (Arbasino ha dato, e molto, ma ha dato tutto ciò che era nelle sue potenzialità nei primi ’60); e, secondo, Balestrini ha scritto cose importanti, come è importante (piaccia o meno) “Il nome della rosa”: ambedue 63ini (come pure Fruttero e Lucentini), ma non intimiditi dai diktat dell’élite sulla tolda di comando. E poi c’erano quelli che non seguivano l’avanguardia, ad esempio gli autori che ruotavano attorno a Nuovi Argomenti, ad esempio Calvino, ad esempio Gadda.
    2. Non condivido la diagnosi sul romanzo italiano, che mi sembra molto “sanguinetiana” (ed anche asorrosiana, luperiniana, ferroniana, ecc.). Non è vero che ci sia solo il “giallo”, oltre a Faletti e Tamaro: ci sono Ammanniti, Arslan, Camilleri, ecc.; né è vero che il giallo italiano non esprima un alto livello letterario: ma di questo si discute a josa.
    Quanto a Bassani, condivido e aggiungo: “La lunga notte del ’43” è una delle più potenti metafore dell’Italia contemporanea. Contemporanea non a Bassani, ma a noi del 2007. Imprescindibile, come “Se questo è un uomo” e “Il barone rampante”.

  3. Concordo con i distinguo di Girolamo, specie al punto due.
    Anna Luisa: so soltanto che il romanzo è di Christopher Priest e che non è stato tradotto in italiano. Approfitto, anzi: editori, fatevi sotto.

  4. caro girolamo,
    ma non mi sembra che balestrini abbia mai scritto alcunché di davvero romanzesco, e certamente non “Il nome della rosa”:)

  5. Stimolanti le opinioni di Longo, anche se ritengo un po’ qualunquistico far abbeverare le proprie critiche sull’umbratile condizione del romanzo in Italia, attribuendone parte delle responsabilità all’operato intellettuale di Sanguinetti. Capisco che la sonante entità del bersaglio tende ad illuminare anche tutto quell’insieme di intellettuali neoavanguardisti, sodali della crusca sanguinettiana, ma nonostante questo non riesco a scorgere cruenti loro responsabilità. Della “malaintellettualità” non saprei quantificare i danni, quello che so è che esistono i buoni romanzi e altri che non lo sono e poi colpire chirurgicamente i soliti noti ( Faletti…) mi sembra un’attività un po’ speciosa. Comunque, anche se Sanguinetti non ci avesse preso, in tutti questi anni non ci siamo fatti mancare nulla, oltre gli autori citati da Girolamo, voglio ricordare anche Mario Rigoni Stern, uno scrittore raramente menzionato, proprio per questo da me tanto amato.

  6. @ dafne tre
    quelli di Balestrini sono romanzi: Vogliamo tutto, Gli invisibili, L’editore, ecc.
    Più sperimentali di Steinbeck, ma senz’altro meno di Pynchon.
    @ Gianluca (e non solo)
    ci sono senz’altro moltissimi altri scrittori che non ho nominato, ho scritto i primi che mi venivano in mente: il mio post vale solo per le inclusioni, non certo per le esclusioni (e comunque hai ragione quella di Rigoni Stern è un’altra modalità di mettere in relazione lingua e memoria, e come tale merita di essere tenuta presente)

  7. Ot, ma, visto che si parla di romanzi italiani, esprimo la mia soddisfazione per averne letto uno finalmente interessante(molti di voi l’avranno già letto,ma iom l’ho finito ieri):’Vita precaria amore eterno’di Mario Desiati.Spietato e bellissimo

  8. col mio pezzo dicevo che oggi ci sono più susanne tamaro che michele mari e non che questi ultimi non esistano.e poi, che qualcuno sappia ancora scrivere romanzi non vuol dire che quelle idee non abbiano comunque segnato un genere.né il fatto che qualcuno allora lo abbia ignorato lo assolve dalle responsabilità.il punto per me è: sanguineti aveva ragione o no?
    sbaglierò, ma secondo me, se sanguineti avesse scritto “Rumore bianco”, (non dico “Underworld”) una melissa avrebbe meno spazio.mi rendo conto che questa affermazione non ha dimostrazioni matematiche, però temo che non sia del tutto astratta.
    grazie a tutti per le riflessioni.

  9. @ Francesco Longo
    Sanguineti non ha scritto “Rumore Bianco”, ma Pasolini ha scritto “Petrolio” e Calvino “Se una notte d’inverno…” e “Le città invisibili”, ed entrambi non hanno impedito a Susanna Tamaro di tamareggiare in lungo e in largo. D’altronde, se ci si pensa, Segal aveva ampio spazio con “Love Story” e Mario Puzo col “Padrino” (che peraltro non era niente male, gusti miei) a dispetto del “Giovane Holden”, del “Lotto 49”, della trilogia di Burroughs e del “Mondo secondo Garp”. Non è che la buona moneta scacci quella cattiva: è la cattiva moneta che non scaccia quella buona, così come Melissa P. non scaccia Nabokov.
    Ciò detto, grazie a te per le tue riflessioni.

  10. Ho visto il film, appena adesso, non male, ma gli ultimi venti minuti sono noiosi, si è già capito il trucco e si continua ad aspettare che ci sia quello nuovo, grande, definitivo che ti faccia dire no, non l’avevo capito.
    E invece non c’è, avevi capito proprio tutto quello che c’era da capire e potevi anche uscire, titoli di coda a parte.
    Voto 7.

  11. @girolamo
    “petrolio” è un buon esempio. è incompiuto, è antinarrativo, è una denuncia fatta attraverso la letteratura, che lì non è il fine ma il mezzo. è più vicino a qualcosa che non è romanzo, rispetto a qualcosa che lo è. il fatto che i romanzi non abbiano delle regole precise (gli esempi che fai sono giustamente molto diversi) non vuol dire che possiamo considerare romanzi quasi tutte le cose (tra cui, a mio avviso, “petrolio”). le “città invisibili” sono l’altra via per evitare il romanzo, sfilando la trama, scegliendo la rarefazione dove serve una spina dorsale,facendo sparire i personaggi. invece di far esplodere la forma romanzo, lì la si eclissava.
    sono ingenuo,ma non penso che la moneta buona scacci la cattiva. ma che se io insegno a disprezzare la moneta buona,l’altro è giustificato a coniare quello che vuole, anche il peggio. se io invece di concentrarmi ad impreziosire la moneta buona (il romanzo di qualità), scelgo di deprezzarlo, poi è lecito che gli altri facciano quello che vogliono. secondo me se uno non si dà da fare a coniare monete buone (come forse avrebbe potuto fare sanguineti) in modo indiretto,inconsapevole, di sponda,autorizza la circolazione di moneta cattiva (melissa).
    ti ringrazio ancora per il dialogo

  12. Gli ultimi venti minuti sono importanti anche per i sentimenti, non solo per il prestigio. “The Prestige” non è un freddo rompicapo, non è un giallo a chiave né un rebus da “Settimana enigmistica”: è invece una bellissima e toccante riflessione sull’apparenza, sul doppio, sull’altro, sul sacrificio.
    Ad ogni modo, il finale in realtà è soltanto socchiuso: affiorano subito dubbi che retroagiscono su molte scene del film. Parlandone con altri spettatori, ho scoperto che anche le cose date per scontate e condivise possono avere spiegazioni molto diverse tra loro. Infatti è uno di quei film che andrebbero rivisti subito, per capire chi ha ragione nella disputa. Probabilmente nessuno, perché alcune scene sono volutamente ambigue e non si prestano a una sola spiegazione. C’è un “lynchismo nascosto”, sotto il velo della narrazione. Durissima parlarne senza rovinare l’esperienza a chi non ha ancora visto il film. Si è costretti a essere sibillini, si finisce a non dire un cazzo. Frustrante.
    Attenzione, comunque, a dire frettolosamente: “Avevo già capito tutto”. E’ un film che inganna proprio chi è facile a commenti di tal sorta.

  13. Io sono rimasto sorpreso dal fatto che sia tratto da un libro. Ho improvvidamente commentato a metà è proprio una sceneggiatura che riflette sul potere-di-mostrare proprio del cinema.
    Sarebbe interessante discutere (ma è impossibile farlo senza fare anticipazioni) che ne è della responsabilità personale in questo scenario.

  14. Alcor: gli ultimi 20 minuti sono il momento in cui il lugubre monito di Bowie/Tesla ( il consiglio di distruggere la macchina ) si avvera: nel duello finale nessuno vince,i 2 contendenti perdono l’amore di chi sta loro accanto e soprattutto, perdono la loro umanità. Non è poco. Mi è sembrato un ottimo finale.
    Lippa: grazie per la dritta.
    Anna Luisa

  15. …tra l’altro non sapevo che il film fosse tratto da un libro e per tutto il tempo in cui sono stata seduta davanti allo schermo, con una buona dose di invidia, ho pensato “questo è il romanzo che vorrei scrivere, questo è il romanzo che vorrei scrivere…” 😉
    Anna Luisa

  16. @ Wu Ming 1
    “E’ un film che inganna proprio chi è facile a commenti di tal sorta” Ma tu che ne sai se sono una facile a commenti di tal sorta:–)?
    Ho letto tanta letteratura popolare ottocentesca, nella mia vita, e anche non popolare, a partire dalla Lettera rubata di Poe.
    E sul doppio, l’apparenza ecc. The prestige arriva buon ultimo.
    NON PER NULLA è in costume.
    Per me il voto è 7, ma non mi disturba affatto che per altri sia 10.

  17. Alcor, non polemizzavo con te, parlavo in generale. Sei anche il personaggio di “Atlas Ufo Robot” che mi suscita più simpatia per il suo indossare con fierezza il ruolo dell’under-achiever (gli interventi di Alcor sono sempre inutili dal punto di vista militare e le sue battute di dialogo sono riempitivi, inoltre non fa nemmeno da spalla ad Actarus, si limita a essere lì senza ottenere nulla, ma intanto rischia la vita al pari degli altri, onesto travet delle battaglie stellari).
    Comunque, di ottocentesco “The Prestige” ha soltanto l’ambientazione, in apparenza. Il richiamo alle agnizioni dei feuilletons, o a “William Wilson” di Poe, è uno specchietto per le allodole. La storia è contemporanea, nel XIX secolo non sarebbe stato possibile scriverla, l’approccio non è positivista, non è tardo-romantico, non è nemmeno nietzscheano, e i trucchi messi in scena sono ispirati a quelli di Houdini, che sono di vent’anni più tardi.

  18. @ Wu Ming !
    Fammi capire, hai problemi di visibilità? di affermazione? di cosa?
    A parte questo io non voglio convincere nessuno e men che meno togliere il piacere a qualcuno, ho detto la mia, voi dite la vostra.

  19. Ti ho appena detto che non stavo polemizzando con te, e ho cercato di fartelo capire scherzando in modo affettuoso sul tuo nick, con un riferimento pop comprensibile a chiunque, trattandosi di cartone animato universalmente conosciuto e, a suo tempo, amato.
    Se il riferimento non ti era comprensibile, magari per ragioni anagrafiche, allora capisco, non è colpa mia né tua. Se invece sei sempre così suscettibile, allora è un altro paio di maniche e sicuramente anche nelle righe che sto scrivendo troverai qualcosa che ti urta e la butterai sul personale. Spero di no, e ti ri-assicuro che non era mia intenzione attaccare te né nessun altro.
    Forse hai equivocato perché mancava la faccina? Ho già avuto modo di rammaricarmi della emoticon-dipendenza sul web. Se sono affettuoso, non voglio essere costretto a dire: “In questo momento sono affettuoso”. Se dico una battuta, trovo assurdo mettermi a ridere per primo. Se adotto un tono lieve, trovo ridicolo specificare: “qui adotto un tono lieve”.
    Ad ogni modo, si può discutere di questo film o no, anche coi limiti di cui sopra? E’ possibile scambiarsi impressioni e opinioni, oppure è obbligatorio fare tutti come te? Scusami, ma a me non soddisfa scrivere due righe, concludere con “voto: 7” (o “10”, o “2”) e morta lì, io ho detto la mia e me ne fotto di quel che pensate voi (anzi, riterrò un affronto personale il tentativo di tirarmi fuori qualcosa di più).

  20. Torno su Sanguineti: a forza di sperimentare si esce persino da un genere meticcio e dai confini indefiniti come è sempre stato il romanzo. Se smette di essere rappresentazione, non è più romanzo. “Far fuori” il romanzo significherebbe non avere più a disposizione lo sguardo di certi Melville e Proust.

  21. Sbaglio o “l’onesto travet” Alcor (lo sappiamo, lo sappiamo che stella è) esiste solo nella versione italiana di Grendizer/Goldrake? In quella originale dovrebbe essere uno dei piloti di Mazinger, o Tetsuya o Ryo, che quanto a battaglie stellari ha già dato.

  22. Se si legge La lettera rubata, e tutte le interpretazioni che ne sono derivate, ma anche il racconto da solo, si impara che è bene cercare ciò che si cerca (l’enigma e la sua soluzione) non in un luogo nascosto, ma al contrario evidente.
    D’istinto, il lettore della Lettera rubata, trovandosi a guardare un film che deve tanto all’immaginazione ottocentesca (il doppio, l’enigma, la macchina, la “scienza” con tutte le riflessioni etiche che ne derivano), sia pure rivista oggi, cerca in superficie, quella cosa poco appariscente che però è lì per essere subito vista.
    Così ho fatto io, tutto qui. Non l’avessi fatto mi sarei divertita di più, ma non l’ho fatto apposta, La lettera rubata l’avevo già letta.
    Io non me ne fotto di quello che dicono gli altri, solo non vedo la ragione per scriverne a non finire.

  23. @ francesco longo
    (a propos. di Sanguineti)
    gli esempi che citavo (e ne ho dimenticati o tralasciati molti altri) dovrebbero dimostrare che la “forma romanzo” non è qualcosa di rigido e monolitico, ma talmente plastica da poter essere evasa, sovvertita ed evertita in molti più modi di quanti non immaginasse la fantasia di quegli avanguardisti che, dopo aver combattuto una meritoria battaglia contro Lukács, sono poi rimbalzati nel più trito degli stereotipi lukácsiani: la natura borghese del romanzo. Che è una stronzata non negli anni Sessanta, ma in assoluto. Non so quanti abbiano letto “Il mito del sentimento” di Enrico Forni, un saggio sui romanzi d’amore sei-settecenteschi (doveva essere il primo di una quadrilogia sul romanzo fino a Musil, ma l’autore morì): lì si vede con chiarezza come il tema delle passioni sia un eversivo sociale sin dai primordi del romanzo moderno.
    Quanto alle monete, volevo dire che anche volendo non si può scacciare la cattiva moneta, così come anche volendo questa non scaccia quella. Tanto vale farsene una ragione e imparare a fare un buon uso della cattiva letteratura (eterogenesi dei fini, ecc.).

  24. occhio forse spoiler per chi non ha visto” the prestige”
    effettivamente anch’io ho avulto la sensazione che negli ultimi 20 minuti del film qualcosa non torna, perchè tornare nel teatro far vedere un “clone” nascosto dietro dopo lo sparo , quel meccanismo lo avemo capito no? che dentro la vasca finivano i doppioni….per farla breve ho avuto la sensazione che ci sia stato un tentativo da parte del regista di “spiegare” di svelare il trucco , ed in questo la sensazione è che il film perda in magia (come dice Marilin Manson un mago che spiega i suoi trucchi è un mago del cazzo).
    comunque gran film.

  25. In the prestige ho trovato la figura di Tesla gigantesca, a partire dalla sua entrata in scena in cui sembra davvero arrivare da un’altra dimensione (from mars?). C’è un momento nel film per me decisivo, in cui Tesla dice pressappoco:”Il mondo della scienza e quello dell’industria non sono pronti allo straordinario, lo rifuggono”.
    Proprio come fa Edison, che nel film, e forse anche nella storia (ma che differenza fa?) incarna la rinuncia della scienza e dell’industria allo straordinario e al prestigio, sacrificandoli al successo ottenuto a tutti i costi. La partita che si è giocata tra Edison e Tesla, e che si gioca tuttora, è quella in cui il passaggio da quello che è vero a quello che è falsità o finzione è pieno di sabotaggi, di costi, di ossessioni, di sacrifici, di passioni, di inquietudini, di esperimenti. Il gioco regge finché avviene qualcosa sotto la botola. Ma “nessuno si cura mai di quello che sta sotto la botola, tutti cercano il prestigio”. E invece lo straordinario è fatto di questo, di quello che sta sotto la botola. Anzi, del passaggio rischioso tra quello che sta sotto a quello che sta sopra, dalla svolta al prestigio.
    Per tornare a monte e Sanguinetti, direi che anche il romanzo è fatto di questo. Anche le pratiche mitopoietiche sono fatte di questo. Ed è qui che qui che la portata di the prestige è dirompente e il film è straordinario in tutti i sensi: ci racconta i passaggi, passaggi non lineari come non lineare è lo stile.
    Sembra quasi che la scienza di Edison, quella che ha avuto successo, si sia pentita di essersi venduta e abbia consegnato la possibilità di produrre lo straordinario al romanzo e al racconto, non prima di averlo reso innocuo e privo della capacità di produrre fatti, come invece faceva Tesla.
    Dopotutto, si dice,”E’ solo un film!”, e quello che non si può fare con i fatti, almeno a sognarlo con la fantasia. Bella consolazione!
    Eppure, che si tratti di una roba per pochi eletti o di un bestseller alla codice da vinci, è facile per chi fa del raccontare storie il proprio mestiere scambiare il coinvolgimento con la complicità, la creatività con il delirio (quando va bene). In ogni caso, il risultato è che le storie divengono asfittiche, insulse, autoreferenziali. Come dire: comodo, ma poca soddisfazione. E’ come quando la scienza si riduce a mera applicazione tecnologica.
    Insomma sembra non abbiamo scampo, o c’è il pippone critico, o c’è lo sbraco letterario. O c’è l’invenzione incompresa che avrebbe cambiato la storia, o c’è la microsoft. Ma qui the prestige smentisce felicemente entrambe le posizioni, e – cosa preziosissima – non lo fa alimentando paranoie. Per rubare le parole spiazzanti di un designer che ho sentito di recente, Enzo Mari,the prestige dice semplicemente che “l’utile senza bellezza è un imbroglio, e viceversa”.
    Ora, penso io, è vero che l’imbroglio non si realizza mai completamente, è vero che nella banalità apparente e nella messa a regime tecnologica c’è sempre un anello che non tiene, un margine per fare andare le cose in modo diverso, ma io non è che sia così disposto a fare salti di gioia per questo, perché un po’ mi sento preso per il culo pensando a Dan Brown o alla Microsoft (per usare due metafore). Piuttosto, preferisco indirizzare le mie energie a sperimentare/fruire opere in cui la capacità di produrre straordinario del romanzo viene messa in circolo con la capacità concreta e scientifica di produrre fatti, in cui la scienza possa viene fatta poesia e le sue storie vengono raccontate come fatti. Cosa possono essere queste narrazioni non lo so. Di sicuro c’è da masticare polvere, ma vale la pena.
    Tutto questo – dilungando, delirando, brutalizzando e spargendo come sempre a piene mani farine altrui – tutto questo per dire che sì, veramente un gran film the prestige

  26. Spoiler. Chi non ha ancora visto il film non legga le seguenti righe. Anzi, facciamo così: non le legga nemmeno chi ha visto il film una volta sola 🙂
    Vi state concentrando tutti sul prestigio di Angier, ma c’è ambiguità perturbante anche nel prestigio di Borden. Una scena del film (la conversazione dopo lo show del cinese finto storpio) fa supporre che Fallon fosse un gemello nascosto e che Borden avesse in mente “The Transported Man” fin dall’inizio della sua gavetta da illusionista. Tuttavia, un’altra scena (l’incidente nel padiglione occupato da Tesla all’Esposizione Universale di Londra) fa sospettare che Fallon sia il risultato di un esperimento non intenzionale. Borden è l’unico a rimanere dentro quando tutti escono terrorizzati dalle scariche elettriche. La prima ipotesi è quella più gettonata, e forse quella vera, perché c’è un evidente parallelismo tra i rispettivi segreti che i due rivali serbano fin dall’inizio: Borden ha un gemello sconosciuto, Angier in realtà è il ricco Lord Caldlow ma lo sa soltanto sua moglie. Però nel film non c’è nulla che smentisca del tutto la seconda. Il fatto poi che la parola-chiave per aprire il codice del diario di Borden sia “Tesla” rafforza il sospetto. Quest’ambivalenza è intenzionale, lo si capisce dalle scelte di montaggio, dall’andamento avanti e indietro nel tempo etc. C’è un doppio prestigio sul proscenio interno al film, che in fin dei conti ci viene rivelato fin dal primo minuto del film (il trucco che Cutter mostra alla bambina), ma c’è un doppio prestigio anche sul proscenio che è il film stesso. Questo intrico è contemporaneo, cita l’Ottocento, gioca con i riferimenti che Alcor ha individuato, ma lo fa anche per sviare. Di fronte a questo film (e al libro, che leggerò al più presto) nulla va dato per scontato, e questo ci viene detto in ogni scena. La lettera rubata non è nemmeno sullo scrittoio: la lettera rubata è il testo che stiamo leggendo.

  27. Spoiler. Chi non ha ancora visto il film non legga le seguenti righe.
    E’ evidente che il punto cruciale è Borden. Di Angier tutto è subito detto. Il diario, il rispecchiamento, non la voglio far lunga. E però dopo un poco emerge una presenza che sulle prime è tenuta nascosta, ma che è lì, di profilo, di spalle, non detta, ma sul tavolo: Fallon.
    Fallon è il risultato dell’esperimento non intenzionale. Intanto perché l’esperimento è appunto non intenzionale, è il caso che gioca sulla scacchiera del destino. Ma soprattutto perchè non ha lo statuto di un gemello – che è uguale ma altro – bensì di un sosia, e lo vediamo anche nella porosità dei piani amorosi. Se fossero gemelli Sara verrebbe sempre amata, non un giorno sì e uno no, perché verrebbe amata da uno dei gemelli, che non la cederebbe all’altro perché appunto la ama. Mentre la coppia Fallon/Burdon si confonde come solo un sosia può confondersi e risultare unheimlich sullo sfondo della scenografia ottocentesca solo come un sosia può fare.
    Non c’è niente di male ad avere un gemello. Il vero delitto, che alla fine infatti viene punito, è avere un sosia frutto del demonio:–)

  28. @ Wu Ming 1
    Troppa grazia, visti i refusi!
    Ma ne approfitto per ricambiare, perché coincidenza vuole che questa e altre cose hanno cominciato a ronzarmi in testa dopo aver letto su carmilla il tuo pezzo sulla cultura popolare.
    Come dire, ce n’è di roba in ballo

  29. Ancora spoiler
    Grande Alcor, così sì che mi piaci! Questo è uno dei piani, è una delle due letture, ma non è l’unica, e infatti la grande maggioranza degli spettatori opta per il gemello. Per quale motivo? Perché ci sono diverse scene (e battute) “anfibologiche”, cioè conferiscono all’intera storia un doppio significato. Dopo lo spettacolo dell’illusionista cinese che si finge storpio, Borden dice ad Angier che lui vuol fare così, che per diventare il miglior illusionista sulla piazza occorrono sacrificio e disciplina, e se necessario si deve fingere per tutta la vita, tenere la maschera sul volto, nascondere la verità su se stessi. La conclusione che uno trae dopo la fine del film è che Borden avesse già un gemello di cui nessuno sa niente, almeno non nel suo milieu. Borden allude a questa cosa altre volte, e sono tutte precedenti allo showcase di Tesla in cui avviene l’incidente. Inoltre, il rapporto tra Borden e Fallon è palesemente di affetto fraterno, lo si vede soprattutto quando Fallon viene sepolto vivo e Borden deve scavare e tirarlo fuori, ma anche nell’ultimo colloquio dai due lati della grata carceraria. Insomma, le cose non sono così semplici come le fai tu 🙂

  30. Curiosità: qualcuno qui ha letto almeno Esperienze Estreme (tit. orig. The Extremes), l’unico libro di Priest tradotto in italiano, edito dalla benemerita Fanucci?
    P.S. Per quel che può valere, dopo la visione del film, anch’io propendo per la versione “semplice”, quella del gemello.
    P.P.S. Poi sarebbe da parlare un po’ di cosa rappresenta la figura di Tesla per certe – diciamo così – sottoculture ecc.

  31. mi correggo: di Priest esiste anche la traduzione in italiano di The Glamour, pubblicata dalla semiclandestina Perseo Libri (quella di Ugo Malaguti) col titolo de L’incanto dell’ombra. Cercavo tutt’altro e mi ci sono imbattuto per caso. Vedi le coincidenze…
    Poi risulta anche un altro volume per Nord, ma fuori catalogo da tempo.

  32. Mi piacerebbe sapere se, prima o dopo l’uscita del film, un editore italiano ha acquistato i diritti di traduzione del libro. Hai visto mai? Magari è la mossa che rimette in moto tutto il catalogo, con grande gioia di Sergio “Gigantesco” Fanucci e Ugo “Fandom” Malaguti 🙂 E se non ci ha pensato ancora nessuno, chissà che questa discussione non metta la pulce nell’orecchio a qualcuno. Nel caso, non mi dispiacerebbe punto cimentarmi nell’opra di voltare il testo dall’idioma d’Albione alla lingua di Dante. Sai quanti omaggi lessicali a Tarchetti e alla Scapigliatura si possono fare per rendere la lingua vittoriana? Sarebbe una figata.

  33. SPOILER / IPOTESI
    (ma sarà questo il luogo giusto per parlarne?)
    Al di là del fatto che è una trovata narrativamente debole (ma giustificabile dall’ossessione) la lettura del finale del diario e la scoperta della beffa di Borden a Colorado Springs – credo che bisognerà rivedere il film con calma, in DVD, pause&play, per ricostruire “ciò che succede sotto la botola”. Come fa Eco con Nerval, se non ricordo male.
    E poi, andrà letto il libro, certo, per analizzare lo scarto tra i linguaggi (questo è un film molto Nolan, dopotutto).
    E ancora, io non ho letto i titoli di coda, e avevo inteso i nomi inglesi in chiave simbolica: lord COld lAw, BUrden, FE(L)lon, Angel-Angier-Anger… cioè, il non sapere come si scrivevano i nomi li caricava di ambiguità!

  34. S P O I L E R OF COURSE
    L’ipotesi di Bourden duplicato dalla macchina di Tesla ha il suo fascino e di certo lo sceneggiatore ci gioca, ma la trovo poco praticabile per più di un motivo:
    1. Se così fosse Bourden avrebbe davvero svelato il segreto del suo trucco a Angier, e questo va contro i principi che hanno animato lui e l’intero film dall’inizio alla fine, ossia MAI svelare il trucco, a nessun costo, perché quando lo sveli non sei più niente. Bourden per salvaguardare il suo arriva a perdere la moglie.
    2. Se Bourden avesse un doppio, nonostante credo qualcuno sopra abbia detto il contrario, sua moglie non sentirebbe differenza di sentimenti un giorno sì e uno no perché sarebbe sempre amata dallo stesso uomo e/o dal suo perfetto duplicato. mentre invece se Bourden ha (come ha) un gemello è ovvio che quest’ultimo, per quanto simile, non sarà mai identico al fratello, a maggior ragione nei sentimenti. e infatti si innamora di Scarlett Johansson (e dio quanto lo capisco).
    3. Se Bourden fosse stato duplicato dalla macchina di Tesla e avesse successivamente indirizzato il suo rivale proprio dallo scienziato, non si spiegherebbe perché, quando Angier rappresenta il suo ultimo spettacolo, non riesce a capire il trucco e se ne fa ossessionare. Vado a memoria perché il film l’ho visto solo una volta, ma ricordo che lui non si spiega come Angier riesca, dopo essere finito nella botola, a riapparire un secondo dopo a 50 metri di distanza. Se conoscesse la macchina di Tesla per averla sperimentata non si farebbe tutti ‘sti problemi.
    Detto questo è un gran film e prova ne è il fatto che ne parliamo così e ci dilettiamo ancora oggi, dopo settimane dalla visione, a svelare tutti i doppi fondi di trama, personaggi e significati.
    A proposito di doppi fondi: ma che nodo aveva fatto Bourden alla moglie di Angier e perché? e come mai non ne è così sicuro? eh eh :))

  35. Domenica sera ( un giorno prima del post della Lippa…vedi le coincidenze ) si parlava, a cena con amici, proprio di the prestige e della possibilità che questo romanzo/film potesse o meno rientrare nella categoria STEAMPUNK.
    Leggo su Wikipedia che tale genere letterario ha molteplici varianti.
    Rivolgo la domanda a chi passa di qui.
    Anna Luisa
    P.S.
    Intrigante questa riflessione sui nomi dei personaggi.

  36. Un ulteriore indizio a favore della tesi del gemello, che però potrebbe rivelarsi sbagliato perché il film l’ho visto solo una volta e quindi ho un ricordo vago della consequenzialità dei fatti:
    se il secondo Borden fosse frutto dell’esperimento di Tesla, sarebbe uscito con tre dita soltanto, no? Oppure la vicenda della pistola avviene dopo l’Esposizione?
    Per Anna Luisa: Priest da più parti viene ricondotto alla sedicente corrente slipstream della sf. The Prestige non lo vedo molto come steampunk: l’ambientazione è ottocentesca e c’è anche l’elemento scientifico, ma l’indole se vogliamo è più “metafisica” e meno tecnicista per i canoni dello steam propriamente detto.

  37. spoiler spoiler
    il punto 3 di Guiglielmo convince nettamente.
    A questo punto, il discorso sul “non lo so” del nodo, va posto così: che nodo aveva fatto B??rden, oppure FE(L)lon?
    E questo è il motivo per cui dicevo che ne è della responsabilità personale, quando esiste il doppio?

  38. SPOILER SPOILER SPOILER
    @Pisipa
    “Se così fosse Bourden avrebbe davvero svelato il segreto del suo trucco a Angier, e questo va contro i principi che hanno animato lui e l’intero film dall’inizio alla fine, ossia MAI svelare il trucco”
    Avresti ragione se fosse un “trucco”, ma è un caso, felice e crudele al tempo stesso, che diventa trucco solo nell’uso, ma nasce come destino. Non essendo un trucco e non essendone neppure Tesla consapevole, aver scelto come parola chiave Tesla potrebbe essere agli occhi di Burden un “tra sé e sé”. Cioè, non sa di rivelare un trucco perché sa che Tesla non è consapevole di aver fatto quello che ha fatto. E infatti Tesla neppure si accorge di moltiplicare i cappelli.
    Sull’obiezione nr.2 alla tesi “sosia” invece ti darei ragione se un gemello ottocentesco fosse così promiscuo da far amare la moglie al fratello gemello. Mi pare strano, diverso il rapposto con il proprio altro, che è un sé appena modificato via macchina e la moglie in fondo sacrificabile non a un banale essere u,ano ma alla demoniaca ambizione di essere il migliore.
    Obiezione al punto 3, vedi punto 1. Borden sa che è stato un caso, il caso non si ripete, non crede che Tesla possa rifarlo, lui stesso non ha ben capito cosa è successo. Ha incontrato il demonio e il suo demoniaco desiderio di prestige lo ha spinto a quello che crede essere un patto col diavolo, non con la scienza. E’ Borden l’uomo che crede veramente nella magia. Il lord, più scafato, crede nel denaro.

  39. OT
    Avrei di gran lunga preferito vederlo con voi, il film, invece che con quei mangiatori di popcorn che il destino mi ha affibbiato l’altra sera.
    Ah, poter scegliere!

  40. Non è Cutter che dice a Angier che Bourden usa un sosia? Comunque, se lo dicesse Bourden, il fatto seguirebbe semplicemente il principio della lettera rubata, ossia, “nascondi in piena vista”. La tesi del sosia non è creduta, quando enunciata, perché non suffragata da prove e perché viola un principio ritenuto vero da entrambi.
    L’enunciazione “ho un sosia” fa parte della “svolta”, quando viene fatta credere una cosa che non è vera: in questo caso, viene fatto credere comeimpossibile il fatto che esista un sosia: impossibile, in questo caso, perché apparentemente viola il principio “mai svelare un trucco”. Il trucco invece (semplice ma non facile) consiste nel nascondere Fallon.
    Agli atti, comunque, che anche l’ipotesi del gemello per cui propendo pone grattacapi e questioni perturbanti.

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