TERMIDORO

Tommaso De Lorenzis interviene sulla letteratura di genere: riflessioni nate da una discussione a più voci fra il medesimo e Valerio Evangelisti, Wu Ming, Giuseppe Genna. Qui sotto l’incipit, su Carmilla l’integrale.

Sono risuonati, negli ultimi tempi, roboanti proclami contro l’età della Restaurazione, epoca dominata dalla dittatura plutocratica dei dati di vendita e ignara dei tanti Kafka, Joyce, Proust che nascono a frotte e che la cecità delle burocrazie editoriali non permette di strappare alle tenebre dell’anonimato. Abbiamo letto invettive contro il pervertimento della “cultura”, allusioni a presunte pratiche censorie, prediche oziose su sottili meccanismi di auto-censura, pronunciamenti isterici contro i processi di «convergenza» che agiscono sulla letteratura, disponendola alle influenze contraddittorie di altri mezzi espressivi. Il discorso è rimasto astratto, cupa profezia di un’apocalisse senza millennio. Soprattutto, sono rimaste oscure tre cose che andavano dette chiaramente e senza giri di parole: ovvero quale istituto – o regime – sarebbe stato reintegrato nelle sue funzioni, dopo quale periodo di vacanza si sarebbe consumato il re-insediamento e quali opere rappresenterebbero la letteratura della Restaurazione. Visto che niente di tutto questo è stato detto, è consentito ribaltare il piano e offrire un’altra versione.

Chiamiamo «restauratori» gli ayatollah dell’autonomia letteraria, i sostenitori di una scrittura orientata verso se stessa e verso la sufficienza delle sue ricerche linguistiche. Appelliamo «reazionari» gli avversari dei «generi» eredi del feuilleton, i nemici della «letteratura ferroviaria» e «culinaria», delle canzonacce da taverna e delle «forze» popolari. Definiamo «vandeani» gli oppositori delle tensioni eteronome che mischiano i linguaggi, aprono la letteratura a intenzionalità altre e creano spazi discorsivi nelle zone di frontiera che separano la pagina scritta dalla celluloide delle pellicole e dai ripetitori televisivi. Consideriamo ultras i nostalgici legionari dell’aura dell’Opera e dell’Autore, i partigiani fanatici di una creazione intesa come sofferta e incompresa «intuizione» che non deve confondersi mai con le tecniche di un sapere artigiano avvezzo al gioco di clichés, archetipi e modelli narrativi. Diciamo «restauratori, reazionari, vandeani, ultras» i divulgatori della «fine del romanzo», massimo grado di «auto-intenzionalità» masturbatoria della letteratura.

L’età che costoro vorrebbero restaurare è quella del bel tempo andato. Quale sia questo tempo non è dato sapere. Forse l’evo degli antropofagi pulp? O l’epoca degli altri libertini? O il periodo neo-sperimentale degli invisibili? O i fasti del realismo? O – ancora meglio – gli anni in cui editori-strozzini imponevano contratti-capestro a Dostoevskij? Non lo sappiamo, ma sappiamo che il mito dei bei tempi andati è aria fritta. Nel tempo e nella storia, la grandezza e la miseria degli uni, degli altri e degli stessi, si con-fondono.

«Era il 25 ottobre e mancavano esattamente dieci minuti alle sette. Fu allora che Mario Pannunzio, direttore del Mondo, si avvicinò al gruppo scorrendo un manoscritto. Senza alzare gli occhi, entrò nella conversazione, con una voce calma che aumentò l’inesorabilità delle sue parole: “Io credo che il romanzo sia morto”, egli disse». Scriveva così Gian Carlo Fusco in un esilarante divertissement sulle polemiche tra «romanzisti» e «antiromanzisti». Impossibile non notare quel riferimento all’orario con cui lo scrittore spezzino ironizza sulla profetica e ieratica dichiarazione di Pannunzio. Quasi a dire: perché proprio in quel momento e non due minuti prima o quattro giorni dopo?

Era l’autunno del ’52, o del ’53. Dunque, tutto già visto. Tuttavia – da quei remoti anni Cinquanta –un paio di buoni romanzi sono anche stati scritti. La Restaurazione, quella vera, quella di chi vuole condannarci a massacranti sgroppate su pagine che si concludono nella gloriosa apoteosi di un ciclopico sbadiglio, è di là da venire. Ci auguriamo – con entrambe le mani sugli attributi – di non vederne mai l’avvento.

Invece, ciò che si è consumato è un Termidoro prima strisciante e poi manifesto. Parliamo di un processo regressivo, di una contro-spinta normalizzatrice interna alla letteratura di genere, che taglia trasversalmente la produzione di alcuni autori e ci costringe a un discorso preciso, concentrato su distinzioni chiare e non fraintendibili. 
(segue qui)

76 pensieri su “TERMIDORO

  1. bg più che parlare di quel che si conosce si dovrebbe dire di cosa si sta parlando. sarebbe già qualcosa: piccole volpi, che fine ha fatto baby jane?, gilda, o la fiamma del peccato, sono melodrammi o noir? e persona la passione per il cinema. me la concedi no? tutto sommato gli sceneggiati hanno a che fare con l’immagine, no?
    ma guarda che non è un’idea mia, sai di dire che la linea non è così ben distinta fra melodramma (hollywoodiano) e noir? magari fossi così originale. quelle che elenco sopra, sono quattro film-storie in cui ‘le dinamiche distruttive del capitalismo’, come delirio economico che passa sotto le storie (effetto, a mio parere più importante, che il ruolo del’ascoltatore immanente, o del narratore, che esso sia onnisciente o meno) sia che si capiti in casa di due vecchie pazze o in un pub di quarta categoria, ha una sua rilevanza fondamentale (perdita di capitali, o svendita di corpi che sia)

  2. Angela, “di qua” e “di là” non è assolutamente la stessa cosa. C’è un sacco di gente che legge Lipperatura ma non Vibrisse, o viceversa, perché sono due blog molto diversi tra loro, per impostazione, per stile, per posizioni espresse nei post, per immaginario che viene esplorato.
    Sono due città diverse, ci sono i pendolari che vivono nello spazio “in mezzo”, ma ci sono anche quelli che fanno tutt’altre traiettorie. Due città diverse non sono due camere comunicanti, e si pensa il contrario si finisce per fare confusione.

  3. angela: evidentemente è questione di gusti: le dinamiche del capitalismo in quanto tali preferisco affrontarle su un testo economico, non so perché ma mi fido di più, da uno scrittore mi aspetto proprio “l’ascoltatore immanente” (era bachtin tra l’altro, almeno credo) e la lingua-mondo (in cui sta tutta l’esistenza sociale in termini di forme, quindi anche le dinamiche suddette, certamente) – ma sempre parla di sè parlando d’altro e viceversa. altrimenti finisce che giudico buono lo scrittore che la pensa come me, il che non è il massimo, insomma
    bg

  4. Su vibrisse si parlava dei limiti che una scelta di definire il percorso (anche sperimentale) della letteratura (noir o no) a priori (con rimandi a ottocento o altro) può comportare.
    Questa considerazione non è, a mio parere e avviso, campata in aria. Fermo restando che le osservazioni di De Lorenzis sulle dinamiche ‘regressive’ del ‘genere’ e su quelle un pò schizzate di alcuni scrittori restano valide non so, non mi sento, di pensare a ricette risolutive. In poche parole credo che sottolineare i limiti di certe scelte sia già base sufficiente a far nascere, volendo, una consapovelezza che può poi proseguire verso le vie che preferisce, in autonomia. Lasciare questa libertà al singolo e alla letteratura/arte mi sembra necessario al pari della libertà di (auto) critica anche feroce (ma motivata e conseguente, non trollesca).
    Al massimo quelle di De Lorenzis possono essere suggestioni, possibili percorsi, non necessariamente vie obbligate o necessarie.
    C’est a dire che l’analisi continua a piacermi molto a patto che non implichi una scaletta di soluzioni (quelle si possono abbozzare e poi modificare, anche drasticamente, in corso d’opera).
    Però magari ho capito male, ho interpretato peggio e ragionato in modo pessimo, non è la prima volta.
    besos
    p.s. segnalo il Termidoro secondo Lucio Angelini. Anche lui propone una ricetta, di diverso indirizzo e di dubbia (?) digeribilità 🙂

  5. @a Wuming1
    A me da fastidio molto il termine buonista che si è inflazionato e non vale che un soldo bucato.
    Lo detesto sin dal primo giorno che lo vidi ché con questa parole si liquidano semplicisticamente, senza riflessione alcuna, dichiarazioni, testi, atti, libri; a mio modo di vedere è sintomo di un certo cinismo, spesso.
    E’ d’obbligo oramai il finale tragico in un romanzo, o no?
    Se un ci affaccia un bagliore, dico barlume di speranza diventa buonista?
    Si potrebbe trovare un termine più adeguato? Più significativo.
    MarioB.

  6. Cenacchi ha i negri, il ritmo e un pò di lattuga nel sangue. Che poi abbia problemi di digestione di qualsiasi tipo non può meravigliare. Si riposi un attimo, la smetta di ballare e vedrà che la lattuga diventa digeribile. Sulle successive fasi di evacuazione la pregherei di tacere: un minimo di eleganza s’impone.
    besos

  7. Beh, che Mario Bianco dica una sequela impressionante di luoghi comuni col tono di chi sta dicendo chissacosa, è abbastanza vero. Poi Cenacchi esagera, ma non ha mica tutti i torti…

  8. Chiedo perdono al Cenacchi ed al Melloni per averli infastiditi con le mie sciocchezze.
    Per farmi perdonare dono loro due etti di marrons glacès e due lecca lecca allo zenzero virtuale, indi mi dileguo, e prometto che verrò qui ad importunare il meno possibile,
    ecco
    Mario Bianco

  9. Anche “verrò qui a importunare il meno possibile” è un cliché: l’uscita ad effetto che dovrebbe suscitare la reazione “Ma no, scusa, rimani”. I*****zi lo fa venti volte alla settimana e non funziona mai, nessuno gli chiede mai di restare. Comunque, Mario, si scherzava: scusa, rimani! 🙂

  10. Spezzo una lancia in favore di Camilleri.
    Il Camilleri autore di Montalbano ha, secondo me:
    1. il merito di aver dimostrato (in termini di grande pubblico) che si può fare un serio lavoro sulla lingua anche all’interno del poliziesco, e con ciò ha rilanciato il livello del genere;
    2. il merito di aver inserito nel poliziesco (sempre tenendo presente la sua ricezione quantitativamente alta) temi come il traffico di organi, il mercato di bambini, i barconi della morte – insomma, qualcosa di più concreto del solito serial killer che squarta le donne perché la mamma non lo faceva giocare con la barbie della sorellina. Da questo punto di vista Camilleri è (stato) anche lui “col culo a terra” (l’espressione è di WM1): è stato con Montalbano, è tuttora con le prose sul fascismo.
    Io non sparerei sullo sfogo del “Giro di boa”, quantomeno non prendendo come riferimento Izzo. Camilleri parla a un pubblico che, in buona parte, non ha visto l’inchiesta di Lello Voce né il film della Comencini. Per quel pubblico, che molto poco sa di Genova, può avere un effetto non da poco sentir dire certe cose da Montalbano. E, agli occhi di quel pubblico medio, le prove false (le molotov portate alla Diaz dalla Polizia) sono la cosa più grave successa a Genova (e giuridicamente sono, secondo me, il puntello su cui oggi conviene far leva): da questo punto di vista, Montalbano-Camilleri ha lanciato il suo sassolino. Siamo chiari, è poca cosa, è vero: ma finché non vedo altri sassi volare (a parte quelli dei soliti noti) mi tengo anche il suo.
    Questioni più serie: Camilleri è consolatorio? Il poliziesco in genere, è consolatorio. Qui De Lorenzis (lo dico senza la minima iperbole) tocca un nervo scoperto della critica letteraria: quel nervo messo alla luce da Guenther Anders quando, dopo aver dimostrato che tutto l’orrore della modernità (nazismo compreso) era già in Kafka, si chiedeva: e allora dobbiamo bruciare Kafka, perché con il suo stile ci rende sopportabile l’orrore? (NB: non sto paragonando Camilleri a Kafka). Sulla lunga durata l’interrogativo perde senso, perché non c’è barocco che non diventi col tempo canone classicistico. Sull’immediato, tornando a Camilleri, l’interrogativo ha senso se riteniamo che Camilleri abbia voluto, un tempo, perturbare le nostre coscienze: se così è, oggi Camilleri è diventato consolatorio. Ma io non credo che Camilleri abbia mai mirato a tanto: ha lavorato il genere poliziesco senza mai andare oltre le regole. Ha scavato il terreno, ma non ha mai pensato di sfondare la parete. Insomma, è rimasto al livello dell’uso del poliziesco in Sciascia: mostrare l’irrazionalità del mondo per contrasto con la “ratio” dell’indagine. Forse lo ha fatto meglio di Sciascia: però (questa è la mia vera critica a Camilleri) è lentamente scivolato, come Sciascia (e Bufalino) verso quel pessimismo che, scoprendo un mondo sempre meno comprensibile, finisce per dare per immutabile lo stato di cose esistente. Le continue sottrazioni (la progressiva evanescenza dei comprimari, a partire da Livia, l’alterità con cui Salvo M.un tempo confliggeva) hanno trasformato Montalbano in uno specchio disilluso e sfiduciato del mondo, senza alcuna indicazione di un possibile rovesciamento del mondo. Un’antropologia negativa priva dell’ottimismo della volontà. Da questo punto di vista è consolatorio il fatto che non ci siano vittime innocenti: non dovrei dirlo proprio io, ma è consolatorio il fatto che Fazio e Augiello siano ancora vivi, e felicemente accasati, per giunta. Ma un Montalbano nel quale Fazio muore riverso in strada non è più un giallo, è un noir: e Camilleri non scrive noir.
    Per concludere: l’analisi di Tommaso è impeccabile, soprattutto per il punto di partenza (che formalmente è esplicitato nelle ultime righe). Non “cos’è”, ma “cosa può (deve?) essere” la letteratura di genere. Se l’uso è quello del piacere logico-intellettuale che da sempre i polizieschi regalano al lettore, ben vengano i romanzi di genere. Se l’uso è quello di affilare le armi e mantenere asciutte le polveri nella lotta contro i molti Termidoro presenti, il genere come tale ha probabilmente esaurito la sua funzione di laboratorio espressivo, e occorre cercare altre strategie. Come quella di insediarsi nel genere per farlo esplodere: praticare una scrittura che “non sceglie a cuor leggero i suoi oggetti: non li prende, ma li esplode dal corso della storia” (Benjamin, Passagenwerk).

  11. Boh, non mi sembra che Cenacchi abbia causato chissà quale disturbo. Ha fatto una satira garbata dei commenti di Mario, paragonando certe sue sentenze ai due-tre stereotipi più noti. A me sembrava chiaro che Cenacchi non avesse detto: “I negri hanno il ritmo nel sangue”: ha motteggiato chi lo dice, e preso in giro chi dice analoghe “idee correnti”. Va bene stare all’erta contro i troll, però non bisogna nemmeno sparare a vista :-(I

  12. Uffa, mi tocca essere d’accordo pure con Girolamo. Non che ci sia niente di male, no, solo che intervengo un’altra volta e avevo deciso per l’autolimitazione a fini riflessivi (non lo faccio spesso, ammetto). Come ho detto sopra stimo Camilleri e mi sono pure letta (consolatoriamente o disillusamente forse) buona parte della produzione Montalbana. Non mi sono mai fatta delle illusioni o domande riguardo all’inquadramento ‘generico’, li ho letti per passare il tempo, per divertimento, per interesse, perchè non avevo di meglio da fare, perchè ne parlavo con gli amici.
    Ho letto Montalbano come intermezzo tra altre letture, ma non ho potuto evitare l’indigestione, come quando mi abbuffai di nespole e ne ricavai un mal di stomaco teribbile e l’antipatia duratura anche per la pianta, le foglie e le radici.
    Non ve ne può fregare di meno, lo so. Era solo per dire che ormai le battute di Catarella potrei immaginarle da sola e i dialoghi e le mossette di tutto lo zoo pure. Non dico che per farmi un piacere sia necessario eliminare le nespole Montalbane, ma un’innesto con altra pianta forse creerebbe frutti meno indigesti per coloro che condividono la mia intolleranza. Che so: una visione
    mistica, il cimitero di Vigata in balia degli zombi, Livia che lo tradisce con la sua migliore amica a fa pure outing, la domestica che improvvisamente si inserisce in un complesso punk, Catarella che si fidanza con un marziano, i boss di cosa nostra che fioriscono dentro apposite aiuole carcerarie (la cosa più fantascientifica), il ponte sullo stretto che finanzia la mafia, viene interrotto sul nascere e porta a casa i miliardi di risarcimento in mano a autentici rospi vestiti da principi azzurri della repubblica (la cosa più vicina a un libro di P.K.Dick che si possa immaginare), un criceto che rivoluziona (con gli esercizi nella ruota) le regole della fisica quantistica, Montalbano che si dimette imprecando dopo che i vecchietti anti TAV si sono cicatrizzati (in assoluto la cosa più vicina a un’ascensione di cristiana memoria) ecc. Cose così o ‘altre’, insomma. Mi capita di sognarle, di desiderarle e spero che il divino Camilleri ascolti l’umile preghiera. Poi, per il resto, d’accordo con te, caro Girolamo 🙂
    besos
    p.s. confermo il surplus di tossine, ma passerà in fretta. Non disperate, presto romperò le scatole a qualcun altro.

  13. Forse hai letto male (rileggi Moresco e de Lorenzis), forse Moresco voleva dire altro e non riusciva a esprimersi (succede), forse io a Moresco continuo a preferire Camilleri, senza rinunciare a criticare il suo lato Montalbano. Si, decisamente, lo preferisco.
    besos

  14. Molto bella l’intervista di Chiara Cretella aEmilio Quadrelli su Carmilla di oggi. Interessanti anche le riflessioni su gialli e noir de noantri.
    besos

  15. sassicaia, senza polemica, chiunque – però deve essere persona un po’ fetente – davanti a un’autocritica onesta – che riguardi qualsiasi cosa – può dire: io te l’avevo detto. sono anni che te lo dico. e io che avevo detto? (roba da grattarsi le palle. qualsiasi palla.)

  16. Le posizioni di Moresco non solo non c’entrano un cazzo con quelle di De Lorenzis, ma vengono trattate con grandissimo disprezzo nel primo paragrafo del testo. Secondo De Lorenzis, i veri restauratori sono proprio Benedetti, Scarpa, Moresco, Cucchi, Luperini etc.

  17. Io sarò anche fetente, ma questi hanno davvero la faccia come il culo.
    Il punto non è “lui l’aveva detto”, ma che questi per mesi hanno dileggiato, volutamente frainteso… quello che diceva Moresco (che peraltro non ha mai attaccato la cosiddetta “letteratura di genere” in quanto tale, anzi), e adesso ne riprendono la sostanza tale e quale (perché Moresco sia stato preso per il culo benché dicesse cose convergenti, Melloni, pensaci un po’ su e vedrai che lo capisci anche da solo).
    Poi uno certo legge quello che vuole. A chi piace Camilleri (e tanti altri), a chi Moresco (e tanti altri). Anche fra Richard Clayderman e Bill Evans, del resto, il dibattito sarà sempre aperto.
    L’essenziale comunque è che ci si arrivi. Gli auguri di buon lavoro erano e sono sinceri.

  18. @ Sassicaia
    De Lorenzis queste cose le va dicendo da oltre un anno (per dire: anche nelle recensioni ai miei libri), i WM anche, dunque ben prima degli interventi di Moresco e Benedetti sulla restaurazione e sul genocidio culturale. Questo per la cronaca.
    Moresco non ha mai parlato di generi (ma la Benedetti si!) perché attaccava (lui come Scarpa e Benedetti) non la “letteratura di genere”, ma un’idea più ampia di letteratura: quella che parte dall’esigenza di “narrare storie”, dell’importanza di una storia: e di conseguenza sotto attacco erano quei “romanzieri affascinati delle trame” (per dirla con la benedetti, cito a braccio). Un discorso sulla “funzione del genere” ha senso se alla narrazione si attribuisce una funzione: come vedi, De Lorenzis e i transfughi di NI fanno discorsi completamente diversi. Piuttosto: da una certa posizione, la narrazione, in quanto restauratrice e genocida, non ha riconoscimento di dignità letteraria, da un’altra la sperimentazione linguistica la ha.

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