A CHI LA LAICITA'?

Mi rendo perfettamente conto di ripetere da diversi mesi che sono giorni convulsi: bene, sappiate che questa ultima settimana di luglio rischia di battere tutti i record. Eppure, qualche motivo di sollievo e di relax viene dalla lettura mattutina delle pagine culturali del Corriere della Sera: per esempio nella querelle Filippo La Porta- Giorello (veramente Giorello non ha ancora risposto) a proposito del pensiero laico. Voilà:

Oggi, di fronte all’offensiva clericale, il pensiero laico si impegna, con qualche affanno, a ridefinire la propria identità. Non vorrei sembrare irrispettoso, ma siamo sicuri che dovrà farlo soprattutto attraverso la filosofia? Di nessuna chiesa di Giulio Giorello è un affilato pamphlet a favore della società aperta e contro i suoi nemici. Ha il pregio della chiarezza e sottolinea come la scienza non implichi alcuna hybris , e anzi si generi dall’idea che l’uomo è un essere fallibile. Eppure vorrei muovergli una obiezione, non su questo o quell’aspetto dell’argomentazione, ma su una questione preliminare, che mi limito a porre problematicamente. Forse la ricchezza della cultura laica oggi sta un po’ stretta dentro le maglie del discorso filosofico. Non discuto la serietà di un pensatore come Giorello. Dico solo che un filosofo non può che ripetere all’infinito lo stesso ritornello: e cioè che la modernità è pluralista, fallibilista e tollerante. Tutte queste cose nobilissime, tradotte in concetti e quasi disincarnate, assomigliano a uno stanco e cerimonioso catechismo laico. Il suo messaggio, per quanto condivisibile, risulta fatalmente arido. Del tutto privo di ogni drammaticità umana, e perciò ineffettuale, incapace di riscaldare i cuori. Né ci aiuta a capire una distinzione decisiva: il relativismo significa non equivalenza di tutti i valori, ma rinuncia a imporre ad altri i propri (in quanto considerati superiori).
Prendiamo invece il romanzo, il genere letterario dialogico nel quale la modernità ha voluto rispecchiarsi. Qui il conflitto tra visioni del mondo diverse, non approda alla conclusione che tutte si equiparano! Soltanto ci mostra mirabilmente, all’interno di singoli destini, il nesso tra visioni del mondo e stili di vita. Relativismo e fallibilismo «si umanizzano», diventando qualcosa di concreto e vivo. In una narrazione romanzesca accade che qualcuno assuma una certa visione della vita e agisca di conseguenza. Poi la realtà lo bastona e così lui impara dai propri errori e dall’esperienza. Ma è altresì evidente che, finché la sua visione regge, lui la consideri «assoluta» e capace di «salvarlo»…(il compito della politica è proprio quello di permettere a ciascuno di vivere liberamente il proprio assoluto).
Nei Fratelli Karamazov Aliosha si chiede se esista una scienza chiamata «etica». E conclude di no. Ma non diventa perciò nichilista. La vera risposta al suo interrogativo è il romanzo stesso di Dostoevskij. Dove si mostra come in Ivan Karamazov l’equivalenza relativistica dei valori conduce all’indifferenza e al delitto; mentre «scommettere» la propria vita su una idea può donarci un mondo più ricco… È il romanzo la grande invenzione moderna dell’Occidente, poi esportato e ovunque riadattato (e oggi sottoposto a vari innesti).
Ora, anche i critici letterari hanno le loro deformazioni professionali. E poi è sempre bene che qualche filosofo ogni tanto ricordi i principi cui ispirarsi. Però mi piacerebbe che la laicità venisse rappresentata proprio dal romanzo. Ovvero dall’idea che ci sono innumerevoli modi per l’individuo di cercare una verità per lui decisiva, anche passando attraverso fedi indimostrabili, e che ciascuno deve trovarla da solo, senza la guida di una «chiesa», e spesso entrando in conflitto con la società. Per questo il romanzo fu proibito dall’Inquisizione e Versetti satanici è costato al suo autore la condanna a morte decretata dall’ayatollah Khomeini.

16 pensieri su “A CHI LA LAICITA'?

  1. Bellli i versetti satanici. Bello tutto quello che scrive Salman Rushdie. Anche Grimus. L’avete letto? No, peccato per voi.

  2. Secondo me non c’è niente da ridefinire nella laicità.
    si tratta di un concetto già di per se ben definito come del resto lo è il suo contrario.
    Il problema che viviamo oggi è un riflesso dei tempi. Mi spiego meglio.
    In una società dominata dal profitto, dalla tecnologia e dalla scienza ci siamo trovati di fronte ad una offensiva clericale inaspettata. Il conflitto tra laicità e religione c’è sempre stato ma oggi si sta esasperando, perchè?
    Secondo me, a livello globale, succede a causa del “problema” del terrorismo islamico che offre alla Chiesa una leva per cercare di recuperare o sensibilizzare le coscienze cattoliche (anche quelle non praticanti) e in più, in Italia, anche grazie ad un governo che fa l’occhiolino alla Chiesa per fini puramente elettorali.
    Potrà sembrare semplicistico ma di tutto questo conflitto, prima del 2001, pochi avevano coscienza. Prima del 2001 la Lega prometteva di mandare in galera i vescovi e i fascisti erano anticlericali. Il pontificato di Karol è stato il più disastroso in termini di perdite di fedeli. Berlusconi è divorziato e sua moglie ha abortito.
    Ma oggi c’è un “nemico storico” da combattere e voti da tirare al proprio mulino. Per cui non scomodiamo i filosofi, non serve.

  3. eh sì, ma poi il romanzo lo leggono in pochi, cazzarola. meglio una canzonetta, no? quella sì che “scalda i cuori” (anche la grappa però)
    ora telefono a max pezzali, vediamo che si può fare.
    e per il mercato internazionale? qualcuno per caso ha il cellulare di nikka costa?
    (poi dice che le pagine culturali del corriere non sono più quelle di una volta…)

  4. premetto che non ho letto giorello, quindi, parlo a titolo personale e sulla base di altri testi scritti da altri ‘filosofi’, uno per tutti, ‘difesa dell’intolleranza’ di slavoj zizek.
    in due parole, zizek se la prende proprio con la tolleranza, con la costruzione di un linguaggio che ospiti (in senso pietistico e assistenziale) tutte le ‘variabili’ umaneequiparandone le istanze e rivendicazioni nell’ambito di una socialità tollerante e generosa di ‘concessioni’. questo non fa altro che ridurre la pluralità ad un unico e singolare organismo bisognoso chiuso nella gabbia dell’alterità.
    due parole, avevo detto…vabbè…
    quello che voglio dire è che la questione non sta nè in un relativismo che equivalizza tutti i valori, nè nel trattenersi dallo stabilire una gerarchia tra questi valori. come accade nei romanzi, le cose accadono quando diversi valori stridono perchè cozzano o differiscono, è nella zona di confine che avviene qualcosa, che nasce il pensiero.
    il problema è che l’offensiva della chiesa è basata su un assolutismo della morale cristiana ed in particolare cattolica che annulla tutto ciò che è al di fuori di essa. è un totalitarismo che non ammette vicini, che si rifiuta di ospitare, che attorno a sé disegna il vuoto.
    sono cazzi!

  5. Sul blog, ho fornito le motivazioni per l’autorevole candidatura dell’articolo di La Porta a “scempiaggine filosofica massima” dell’estate 2005.

  6. Azioneparallela, mi permetto di ripostarlo anche qui, merita:
    “L’articolo scritto da Filippo La Porta sulle pagine culturali del Corriere della Sera (ripreso da Lipperatura) si candida autorevolmente a scempiaggine filosofica massima dell’estate 2005. Ed è un peccato, perché la scempiaggine era evitabilissima. La Porta voleva arrivare a formulare questo auspicabilissimo auspicio:
    “mi piacerebbe che la laicità venisse rappresentata proprio dal romanzo”. Per arrivarci ha creduto però di dover dire qualche scempiaggine sulla filosofia. Le seguenti:
    1. oggi “un filosofo non può che ripetere all’infinito lo stesso ritornello”. Me li trovi, La Porta, due filosofi due che ripetono lo stesso ritornello, oggi! Luogo comune per luogo comune, i filosofi son come gli orologi: non se ne trovan due che segnino la stessa ora (o dicano la stessa cosa). (Però, se La Porta vuol spremersi un po’ le meningi, consideri che quando un Heidegger afferma che i filosofi pensano sempre il medesimo, cioè l’essenziale, dice l’esatto opposto di quel che dice lui);
    2. “[lo stesso ritornello, cioè che] la modernità è pluralista, fallibilista e tollerante”. Ora, prendiamo la grande filosofia del ‘900 (Husserl, Wittgenstein, Heidegger): questa è gente che ha ripetuto il ritornello che fischietta La Porta? E anche se ci affianchiamo, che so, Foucault e Habermas, Quine e Davidson, Deleuze e Chomsky, ne viene fuori solo quella cosuccia debole e esangue che dice La Porta? Crede davvero La Porta che l’ultima parola della filosofia sia quella che gli fa dire lui? Crede davvero che tutta la penetrazione concettuale di cui la filosofia è capace si risolva nella canzonetta, nel ritornello che canticchia lui?
    3. “[lo stesso ritornello] del tutto privo di drammaticità umana”. O perbacco, ma di che parla La Porta? Lui non ha orecchie filosofiche, evidentemente, e non riesce dunque a scaldarsi il cuore. Ma la biografia di (metteteci tutte le differenze individuali, ovviamente) Nietzsche o dello stesso Heidegger, di Simone Weil o di Edith Stein, di Giovanni Gentile o di Enzo Paci, di Emanuel Lévinas o di Paul Ricoeur son proprio da buttar via? E La Porta trova aride le loro opere, prive di drammaticità? Cavolo!: le ha lette? La Porta si nutre forse di sola letteratura secondaria, in materie filosofiche? (Oppure la sua osservazione riguarda in genere la filosofia tutta – non solo quella di oggi – le astratte astrazioni concettuali, che in scena non stanno come i personaggi nei romanzi di cappa e spada?)
    4. “Né [quel ritornello] ci aiuta a capire una distinzione decisiva: il relativismo significa non equivalenza di tutti i valori, ma rinuncia a imporre ad altri i propri valori”.
    Ma Filippo La Porta pensa davvero a quel che scrive? Ci pensa su per bene, prima di scriverlo? Quanti secoli saranno che la filosofia sa una cosa del genere? Forse la filosofia non lo aiuta, ma diamine!, se Filippo La Porta non si aiuta un po’ da solo! Per rimanere al ‘900, la cosa che i filosofi non aiutano a capire si trova a chiare lettere, a chiarissime lettere, per dirne due, in Merleau Ponty e in Wittgenstein. Basta leggerli.
    5. E’ capitato mai di notare, a Filippo La Porta, che i filosofi i romanzieri li leggono, specie nel ‘900? Cervantes Flaubert Dostoevskij Melville Kafka Proust Musil Joyce Mann i filosofi se li leggono, e li sanno anche far fruttare filosoficamente: vogliamo fare anche il contrario, per favore?”

  7. “Vengo ora a un problema pratico che mi ha spesso causato delle difficoltà. Ogni volta che mi reco in un paese straniero, in una prigione o in luoghi simili, mi viene sempre chiesto quale sia la mia religione.
    Non sono mai del tutto sicuro se devo rispondere “agnostico” o “ateo”. E una domanda a cui è molto difficile rispondere, e oserei dire che ha creato delle difficoltà anche a molti di voi. Come filosofo, rivolgendomi a un pubblico composto unicamente di filosofi, dovrei definirmi “agnostico”, perché non credo che esista alcun argomento in grado di affermare o negare l’esistenza di Dio.
    Invece, dovendo immedesimarmi nell’impressione che ne ricaverebbe una persona normale, penso che dovrei definirmi “ateo”, perché, ogni volta che affermo che non è possibile provare l’esistenza di Dio, dovrei subito aggiungere che non è possibile provare neanche quella degli dèi omerici.
    Nessuno di noi prenderebbe seriamente in considerazione la possibilità che esistessero gli dèi omerici; ciononostante, se dovete impegnarvi seriamente a dare una dimostrazione logica del fatto che Zeus, Era, Poseidone e tutti gli altri dèi non sono mai esistiti, anche voi conveniste che è un lavoro ingrato. Infatti non riuscireste a provarlo.
    Pertanto, riguardo gli dèi dell’Olimpo, rivolgendomi a un pubblico di soli filosofi direi che sono agnostico, ma rivolgendomi alla gente comune, credo che, riferendosi a tali divinità, chiunque, come me, si definirebbe ateo. Per quanto riguarda il Dio cristiano, penso che dovrei tenere la stessa linea.” – Perché non sono cristiano, Bertrand Russell

  8. Il post iniziava così: “Oggi, di fronte all’offensiva clericale, il pensiero laico si impegna, con qualche affanno, a ridefinire la propria identità.”
    Scusatemi, ma secondo voi chi incarna “l’offensiva clericale” e “il pensiero laico”?
    I filosofi oppure tutto il resto della gente che vive su questo pianeta?
    no, perchè a leggervi sembrerebbe che i destini del mondo siano retti dai primi.

  9. Attenzione la Porta non ci fidiamo più, Hilman gli dei la paganità antirelativistica il tutto condito nel palinsesto notturno, perfino discutendo con Bertinotti di Hegel alle tre di notte, una cosa incredibile, quei vestiti inessenziali che sconvolgono, i capelli bianchi che irritano i telespettatori e quel linguaggio enfatico e tecnico desunto dalle lezioni delle scuole medie e mai più cambiato da allora, dodici anni come averne centinaia, vecchissimo gerusalemme, incredibile che La Porta (nome che potrebbe comodamente essere un Nickname, ma sotto ci dovrebbe essere una persona vera, ma qui non c’è) sia passato dal PSI craxiano alla Lega a Rifondazione pur di dirigere i palinsesti notturni della Rai e di parlare di alchimia etc, per cui non capiamo questo intervento, laico lui ma non scherziamo, new age delle peggiori!
    VINCENZO e BASILE

  10. Per lungo tempo ho creduto che Dio non esistesse, e mi stupivo di come, malgrado l’evidenza delle prove di cui disponiamo, molti continuassero a negare l’idea che sistemi così complessi e interconnessi potessero derivare da un processo governato dal caso. Come credere che la meccanica perfetta del nostro corpo, lo stesso cervello che riflette su se stesso, sia arrivato a questo grado di sofisticazione a causa di un semplice gioco di mutazioni senza un fine predefinito, cioè per innumerevoli tiri di dadi successivi avvenuti nel corso di una evoluzione che si perde nella notte di miliardi di anni fa? Capiscono tutto questo intellettualmente, ammettono che le prove ci sono e non potrebbero essere più evidenti, ed è possibile perfino analizzare e spiegare le ragioni della loro stessa incredulità, eppure qualcosa in loro è restio ad ammettere questa costruzione del caso, forse gli sembra che sottragga al mondo e a loro stessi ogni significato profondo. Pensavo insomma, come scrive Camillo Sbarbaro in “Quisquilie”, che la vita ha bisogno di un alibi: quello dell’aldilà, quello dell’arte, in mancanza di meglio, quello della prole. A sé la vita non basta. Ma di recente mi sono convertito. Ora ho la prova inconfutabile della sua esistenza. Difatti, se fosse solo una mera superstizione, un semplice caso di psicosi collettiva, come molti autorevoli scienziati sostengono, io ci sarei cascato in pieno. Insomma, se non esistesse io lo avrei visto certamente, o perlomeno mi sarebbe apparso in sogno. Ma non l’ho mai visto, dunque Dio esiste.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto