FLATUS VOCIS

Forse varrebbe la pena di pensarci un momento: il New
York Times
, per dire, lo ha fatto venerdì scorso, in un articolo di Dinitia
Smith
che trovate qui e che riferisce del crescente interesse che riguarda
gli eventi dove la voce è protagonista (reading, dibattiti, eccetera). In rete,
questa stessa attenzione non è cosa nuova: e non mi riferisco solo al
podcasting o alle web-radio, ma all’uso mirato dei file audio in siti e blog di
scrittori. Ora. Non intendo fornire nutrimento per massmediologia spicciola,
pronta a dichiarare che dopo l’oralità di ritorno dell’epoca televisiva e la
scrittura di ritorno dovuta a Internet, stia ritornando qualcos’altro. Però mi
sembra che una riflessione si debba intraprendere, e contribuisco con un
vecchio articolo (1993) che, data l’epoca, si soffermava soprattutto sul
nascente uso dei telefoni cellulari. Però, però…

Al telefonino serve una metafisica. La sociologia ci ha
già detto tutto quello che poteva, il galateo ne ha condannato l’ uso improprio
a teatro e nei ristoranti, la cultura ne ha preso ufficiosamente le distanze
come oggetto utile ma cafone. Una metafisica, invece, potrebbe rivelarci che
attraverso il telefonino e, in assoluto, attraverso l’ uso della Voce mediata
dalla tecnica, sta prendendo forma una trasformazione che non riguarda solo il
costume. Corrado Bologna, il docente di Filologia romanza autore dell’
acutissimo saggio Flatus vocis, nei
possessori di cellulari rinviene addirittura il soffio di Mercurio, dio dei
crocicchi, dei ladri e dei comunicatori. Guarda caso, sono proprio gli incroci
delle strade i luoghi prescelti per intrecciare, senza fili, conversazioni
lecite e illecite di affari e di amore. A Mercurio e ai suoi pari non serviva
un corpo per manifestarsi: bastava la Voce. E tanto basta alle sue terrestri
discendenze. Se già il telefono, come rievocava uno stupefatto Walter Benjamin,
si "imponeva in quanto voce", abolendo la presenza fisica dell’
interlocutore, il cellulare accelera il paradosso: non c’ è più bisogno di una
parvenza di corporeità (rintracciare qualcuno in un luogo abitato dal suo
corpo: la casa o l’ ufficio). La Voce stessa si fa corpo. Antichissimo
processo, ben noto ai grandi mistici, agli sciamani, ai poeti medievali che
attraverso la Voce venivano invasi dall’ amore o dalla divinità: e dimenticato
in età moderna con la subordinazione della parola alla scrittura. In età
post-moderna, e grazie alla forza moltiplicatrice della tecnologia, la Voce
riacquista potenza. Anche se in modalità impensate, e trascurate perché
ferocemente "popolari". Avviene, ad esempio, che migliaia di persone
ricalchino senza saperlo le orme di Dante cercando l’ Amore nella Parola:
magari amore con la minuscola, magari scegliendosi (tramite telefonata
intercontinentale a luci rosse) una pornodiva anziché una Diva. Avviene anche
che la parola torni ad essere rito collettivo: con il Karaoke di Fiorello
anziché nelle cerimonie dei Dogon africani. Avviene che il rap si trovi
inconsapevolmente a riprodurre la lingua perduta dell’ Eden, ricomponendo l’
antica frattura tra "voce di parola" e "voce di canto" di
cui parlava Rousseau. Avviene, ancora, che il poeta scelga di affidarsi alla
parola parlata dopo averla sperimentata nella scrittura: come ha fatto Oriana
Fallaci registrando su audiocassette per la Rizzoli la trentasettesima edizione
di Lettera a un bambino mai nato. Per restituire, ha dichiarato, "la
parola scritta alla sua essenza originaria: la corporeità del suono che la
partorisce". Episodi frammentari: ma nient’ affatto casuali. "Nella
nostra civiltà – dice Corrado Bologna – si sta aprendo uno spiraglio fra le
grandi opposizioni di sacro e profano, interiore ed esteriore: e la Voce, che
un tempo era esperienza sacrale e collettiva, conosce un’ utilizzazione laica e
individuale. Nessuno si sognerebbe di trovare una valenza sacra nel rap. Eppure
i rappers non differiscono in nulla dai cantori sacri, né i loro testi sono
così lontani dall’ epica tuareg, che raccontava, ritmandola, la cronaca. Oggi
come nel passato, la Voce fa tendere il quotidiano al simbolico. La stessa cosa
avviene nel Karaoke, dove l’ imitazione diventa un rituale collettivo. Ma,
insisto, laico: perché la Voce non è più il soffio di Dio descritto nella
Bibbia, ma il soffio dell’ Interiorità. La cultura occidentale ci arriva oggi,
molti secoli dopo le civiltà orientali prebuddiste, che sapevano ‘ dar voce
agli organi interni’ attraverso la preghiera. E si trova di fronte ad una nuova
armonia: non necessariamente deliziosa. La Voce del nostro tempo, quella che ci
arriva dallo spiraglio, può essere, indistintamente, l’ urlo primordiale del
tirannosauro di Jurassic Park o il sussurro degli angeli. O, ancora, il tic-tac
del cuore materno". Mamma e tecnologia perché, riprodotta, digitalizzata,
ricostruita, la Voce continua ad affondare la propria forza simbolica nel suono
primario per eccellenza: il suono dell’ Altro, percepito nel ventre materno.
"L’ onnipresente telefonino – prosegue Bologna – ricopre una funzione
identica a quella della voce della madre che attenua al bambino l’ orrore del
silenzio puro. E’ suono della pancia. Suono del corpo". Anche in senso
erotico, dunque. "Assolutamente sì la pubblicità Sip con la ragazzina di ‘
Quanto mi ami?’ , non fa che ripercorrere il mito delle sirene. La seduzione
passa per la voce: si parla e si bacia con lo stesso organo, che ci è già
servito a succhiare il latte del primo nutrimento. La diffusione dell’ eros
telefonico è uno dei sintomi della ricorporalizzazione della Voce cui stiamo
assistendo. E che è la conseguenza, in qualche modo, della forte insistenza sul
corpo che si è verificata in questi ultimi anni. Per merito delle donne,
soprattutto. Oltre al ruggito del tirannosauro, c’ è un’ altra cosa che mi ha
colpito in Jurassic Park: quando il matematico e l’ archeologo dicono ‘ i
dinosauri distruggeranno l’ uomo’ , la biologa che è con loro risponde: ‘ Sì, e
le donne erediteranno la terra’ . Possibile".

3 pensieri su “FLATUS VOCIS

  1. La prima riflessione spontanea che mi hanno suscitato post ed articolo, sono entrambi riconducibili ad un inseguimento spasmodico di un agorà ormai estinta, perduta in quasi tutti i contesti occidentali, a rafforzare questa impressione, aggiungerei anche i videoblog che ne possono essere una sintesi ulteriore di questo smarrimento fisiologico, un fenomeno piccino, piccino seppur crescente. Personalmente speriamo che me la cavo… vero o solamente verosimile… che sia.

  2. più che per la smaterializzazione delle interlocuzioni lo sviluppo della comunicazione senza fili è avvenuto perchè esisteva una forte spinta in tal senso da parte dei pusher,come ebbi modo di sentire da una voce pescata “nel fondo al di sotto del fondo” della rete.Quando entreremo a pieno titolo nell’era della vergine comunicheremo solo per flussi di coscienza(cfr “la lunga morte del colonnello Porter”)o via seduta spiritica e la fonetica sarà solo un magro,indelebile ricordo

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