FALSA VICINANZA

Facciamo un esercizio collettivo. Cosa ci spinge a identificare gli scrittori che leggiamo con una persona che conosciamo? Perché immaginiamo che siano tutte persone belle? E cosa ci succede quando chi amiamo sulla pagina commette un atto che ci ripugna? Non parlo di Alice Munro, oggi (dovrebbe uscire nei prossimi giorni un mio commento sulla Stampa, quindi rimando a quello), ma di tutti coloro che ci hanno sorpreso e da cui ci siamo sentiti traditi: non tanto  quelli di ieri ma quelli che crediamo di aver sfiorato davvero perché nostri contemporanei.
Marion Zimmer Bradley muore nel 1999 a 69 anni. E’ stata accusata di pedofilia della figlia, Moira Greyland, di essere stata abusata da lei e dal padre. In modo orribile. Leggere la sua poesia, Mother’s Hand, fa malissimo. E nessuno dovrebbe mettere mai in dubbio la versione della vittima, a mio parere.
C’è un ma. E non si tratta di “contesto”, non si tratta di “guarda le femministe fetenti che difendono le loro autrici”, come qualche imbecille pure sta scrivendo in giro. Si tratta del nostro rapporto, sbagliato, con i nostri eroi e le nostre eroine letterarie. 
In proposito, per ora, mi limito a postare qui quanto dichiarò in un’intervista del 2018  Michela Murgia. Che di Bradley era appassionata lettrice.

Si sta parlando moltissimo di letteratura, e insieme non se ne sta parlando, in queste ore. Ed è per questo che per un po’ sospendo ogni parola su Alice Munro e sulla rivelazioni della figlia Andrea: è una vicenda così atroce e dolorosa che occorre prendersi il tempo, anche qualche ora, per dire qualsiasi cosa.
Però parlo anche io di letteratura. Stamattina aprendo la newsletter del New York Times, ho trovato la prima parte della lista dei cento migliori libri pubblicati dal 1 gennaio 2000: la lista è stata stilata grazie ai voti e ai contributi di Stephen King, Bonnie Garmus, Claudia Rankine, James Patterson, Sarah Jessica Parker, Karl Ove Knausgaard, Elin Hilderbrand, Thomas Chatterton Williams, Roxane Gay, Marlon James, Sarah MacLean, Min Jin Lee, Jonathan Lethem,  Jenna Bush Hager, e altri. Vengono pubblicati venti titoli alla volta, partendo dagli ultimi posti.
Bene, la prima cosa che mi è venuta in mente è che ne conosco pochi.

Un post lungo, e forse avrei dovuto scriverlo prima: perché, e questo è un mio errore, dopo tutti questi anni avrei dovuto sapere che le polemiche non si fanno sui social. Ricapitolo: qualche giorno fa, Walter Siti rilascia a Rivista Studio un’intervista. Segue polemica.
Le considerazioni di questo post contengono: un piccolo riepilogo sul perché ho sempre considerato Siti un grande scrittore (anche quando altri e altre lo linciavano); la questione del non vedere la questione stessa; il perché odio il politicamente corretto (paura, eh?); il perché si confonde la cosiddetta cultura woke con il problema dell’autorevolezza delle scrittrici; il perché a volte e non sempre etica ed estetica vanno anche di pari passo in letteratura.
Con una rivelazione finale: Michela Murgia, per dire, lodò “Bruciare tutto”, laddove altre e altri lo avevano già messo sul rogo.
Buona lettura.

Intanto, un benvenuto a chi segue da pochi giorni questo blog, dopo il lungo addio a Fahrenheit che di fatto ha occupato l’intero mese di giugno. Ma ora è tempo di ricominciare, e approfitto per ricordare dove sarò nei prossimi giorni.
Nel frattempo, alla luce di quanto sta avvenendo in Francia, ripubblico una lezione esemplare di Tolkien che forse Macron dovrebbe apprendere: avviene nel momento in cui il professore dà il giusto significato a una parola, e quella parola è ofermod. Non audacia, ma orgoglio. Vale la pena, allora, rileggere quello che Wu Ming 4, ormai dodici anni fa, raccontò in L’eroe imperfetto. E farne tesoro, proprio ora.

Sono poco presente perché questa è la mia ultima settimana a Fahrenheit e a Radio3 (vado in pensione venerdì 28 giugno), ma prometto che dall’8 luglio il blog riprenderà regolarmente. Sul futuro, vi darò notizie.
Intanto, visto che si infittiscono le discussioni sul linguaggio dei politici, sulle gaffe e gli spropositi che li rendebbero più vicini al popolo, pubblico qui una Cosa Preziosa scritta a gennaio per L’Espresso.
Si chiede da tempo alla leader dell’opposizione di adeguarsi: la stessa cosa che, non ovunque, si chiede agli scrittori per venire incontro alla diminuita capacità di comprensione di chi li leggerà, perché, insomma, è tempo di farla facile. Forse, allora, bisognerebbe chiedersi invece se questo processo vada sempre e comunque sostenuto: volendo guardare al passato – cosa che non si dovrebbe fare, lo so – il procedimento era, a grandi linee, l’esatto contrario, e si provava comunque ad alzare la famigerata asticella, magari un passo alla volta.

Oggi è il 17 giugno, compleanno di Graziella De Palo. Un piccolo brano da “L’arrivo di Saturno”.
“Perché si avvicina un’altra catastrofe, è imminente il  turning point, la curvatura due dei fragorosi consumi culturali degli anni Ottanta. In quella manciata di giorni, Graziella diventava senza saperlo una figura di ieri, colei che quegli anni non avrebbe visto e sarebbe rimasta, per sempre, nel punto di passaggio, sulla soglia, nel nodo di tenebra.”

Qualcosa di personale. O forse no. Domani mattina parto per Trani. E dalla festa di Radio3, venerdì 14 alle 17.10, parlerò di voce. Non è il discorso del congedo, anche se quasi coincide, visto che il congedo effettivo è il 28 giugno (dunque, dopo Ventotene, condurrò ancora per cinque giorni).
E’ invece un racconto sulla voce, e soprattutto sulla voce delle donne: com’è noto, dai tempi antichi temuta e molto spesso sopportata, anche oggi. 
E’ anche un racconto su come la radio, per me, coincida con il vilipeso concetto di comunità, del raccogliersi insieme attorno allo stesso fuoco, per poi ripartire verso altre destinazioni.

In questi giorni ci sono state anche un paio di polemiche sul ruolo degli scrittori e delle scrittrici, sull’editoria, la letteratura e tutto il resto. Citato ieri in trasmissione, riporto qui quel che ne pensava  Albert Camus nel discorso di accettazione del Premio Nobel per la Letteratura, nel 1957. Lo so, altri tempi. Eppure.
“La missione dello scrittore è fatta ad un tempo di difficili doveri; per definizione, non può mettersi oggi al servizio di coloro che fanno la storia: è al servizio di quelli che la subiscono. O, in caso contrario, lo scrittore si ritrova solo e privo della sua arte. Tutti gli eserciti della tirannia con i loro milioni di uomini non lo strapperanno alla solitudine anche e soprattutto se si adatterà a tenere il loro passo.”

1930. Siamo in Versilia, e la famiglia Mann assiste allo spettacolo dell’illusionista Cipolla, così abile nell’eloquio da destare grandi consensi fra il pubblico: “Parla benissimo, si constatò vicino a noi. L’uomo non si era ancora prodotto, ma soltanto le sue parole erano apprezzate come un lavoro; era stato capace di imporsi solo con questo”. Accade che Cipolla ipnotizzi il cameriere Mario convincendolo di essere la ragazza che ama. Mario lo bacia, si risveglia, uccide il mago. “ Un finale di terrore, un finale catastrofico. E tuttavia un finale liberatore: non seppi e non so fare a meno di sentirlo così”. Un anno prima, nel congresso del partito Nazionalsocialista a Norimberga, Hitler aveva parlato pubblicamente di eugenetica, sostenendo che “una rimozione media annuale di 700-800.000 dei più deboli di un milione di bambini significava un aumento del potere della nazione e non un suo indebolimento”.

Anche oggi archivio. Una cosa preziosa scritta per L’Espresso di aprile.
Chissà quanti, nel 25 aprile appena trascorso, avranno ricapitolato quel che ci sta avvenendo: silenziamento a colpi di querele degli intellettuali, censura televisiva ai medesimi, stretta sui giornalisti, manganellate agli studenti, diritti delle donne sempre più a rischio. Chissà quanti avranno ripensato a Norberto Bobbio e in particolare a queste parole: “Chi si rifugia, come in un asilo di purità, nel proprio lavoro, pretende di essere riuscito a liberarsi dalla politica, e invece tutto quello che fa in questo senso altro non è che un tirocinio alla politica che gli altri gli imporranno, e quindi alla fine fa della cattiva politica”. Sono del 1945.

Loredana Lipperini
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