UN LIBRO CHE HO LETTO, UNO CHE VORREI LEGGERE

Perché è importante che gli uomini parlino, a proposito di femminicidio? Per tanti motivi: perché  li riguarda da vicinissimo, perché nella maggior parte dei casi è il mancato riconoscimento dello status maschile secondo i canoni a far “spegnere la luce”, per far capire a tutti, i più giovani in primo luogo, che il problema esiste, e che occorre affrontarlo.
Dunque, giovedì esce per Chiarelettere Se questi sono gli uomini di Riccardo Iacona. Leggetelo, è un libro importantissimo. E aspettando il giorno d’uscita leggete quali reazioni (ahi, maschili) sta già provocando.
C’è un altro libro che mi piacerebbe leggere. Si chiama Il futuro che non c’era. E’ un’antologia di racconti curata da uno scrittore, Alessandro Greco. L’idea è quella di raccontare alcune delle donne che sono state uccise e i cui nomi conosciamo: Chiara Poggi, Melania Rea, Yara Gambirasio, Sarah Scazzi, Elisa Claps, Meredith Kercher, Simonetta Cesaroni. Donne le cui storie sono state scandagliate, spesso impietosamente, spessissimo senza alcun rispetto per chi davvero sono state. A narrarle dovrebbero essere sette uomini. Nessun “mea culpa”. Storie. Storie per ricordare e per capire.
Uso il condizionale. Alessandro mi parla di questo progetto dalla scorsa primavera. Ne ha scritto, di recente, anche Michela Murgia.
Ebbene. Nessuno fra gli editori che Greco  ha contattato si è detto interessato. A proposito di quanto si diceva venerdì, sulle motivazioni che, oggi, nel migliore dei mondi editoriali possibili, portano alla pubblicazione.

54 pensieri su “UN LIBRO CHE HO LETTO, UNO CHE VORREI LEGGERE

  1. Cosa c’è di non vero, non lineare, non corrispondente a verità, nel primo commento citato al link “quali reazioni”?
    Detto questo Riccardo Iacona nelle vesti di sociologo e psicologo non mi ispira molta fiducia. Nonostante ciò speriamo in gradite sorprese. Ce n’è bisogno. Ormai siamo a questo punto.

  2. Noi siamo interessati all’argomento, sia da un punto di vista professionale che editoriale.
    Siamo una piccolissima Casa editrice specializzata in psicologia e psicoterapia ma da poco abbiamo scelto anche di dare spazio ad argomenti “vicini” alla nostra materia.
    Lo abbiamo fatto lo scorso anno con un libro sulla manipolazione affettiva e saremmo lieti di poter contattare l’autore per verificare la sua disponibilità.
    Può favorire il contatto?
    Grazie.
    Luigi Di Giuseppe
    Edizioni Psiconline

  3. Luz, devi andare al blog del Fatto per leggere le reazioni: il link sotto quali reazioni riferisce esattamente di questo. E linka a sua volta il Fatto. Su, dai, un clic in più 🙂

  4. No cara, i commenti del Fatto non li voglio leggere, mi fanno male alla salute mentale. Voglio dire, conosco il tenore di quelle diatribe per lo più deliranti. Chiedevo commenti su quel primo che, se non sono sfasato, credo sia stato citato ad esempio.

  5. 1) “adesso si porta lo storico”.
    Ecco, anche sul filone storico (dopo l’uscita di film come *Il gladiatore * o *300* le librerie sono state invase da tonnellate di romanzi a tematica greco-romana, con riproposizione di un tipico cliché hollywoodiano: Roma = sesso&violenza. Se poi il sesso e la violenza li descrivi in modo morboso, accattivante e in chiave contemporanea, allora tanto meglio…) ce ne sarebbero di cose da dire riagganciandoci al post di ieri. Sono libri che vengono sfornati a getto continuo, con una velocità incredibile e allora mi chiedo: come può l’autore essersi documentato in così poco tempo? E questa superficialità, nonostante i proclami reiterati nelle interviste (io mi sono documentato! io ho letto le fonti!), non è mancanza di rispetto nei confronti del lettore?
    2) I commenti al libro di Iacona sono davvero inquietanti.

  6. se il romanzo che leggi non ti piace o ti sembra superficiale non è che lo scrittore ti manca di rispetto, forse è semplicemente che quel libro non è adatto a te o che gli stai chiedendo cose che non può darti. e come in una relazione sentimentale, a volte finiscono e quando succede capita che non sia “colpa” di nessuno, è semplicemente che non eravate fatti per stare insieme.
    Lo scrittore deve scrivere la storia che vuole scrivere nella maniera più efficace, deve coinvolgere il lettore con trame appassionanti (e se sesso & violenza sono necessari alla storia allora che ce li metta e li racconti come ritiene più opportuno) e personaggi ben delineati e coerenti col genere o coi generi letterari scelti e con le atmosfere che si intende evocare e creare.
    Se poi il lettore legge un romanzo storico (che per quanto possa essere documentato sempre romanzo è) credendolo un testo di storia, è lui che manca di rispetto a se stesso.
    Oltretutto a mio personalissimo parere, ci sono romanzi storici considerati “di qualità” che soffrono di un eccesso di documentazione e “veridicità” che in qualche modo uccide, soffoca la trama romanzesca che pure qua e là affiora..ad esempio ho letto con interesse Il cimitero di Praga di Eco ma mi chiedevo anche se non faceva prima a scrivere un saggio storico, e mi sono fatto la stessa domanda quando ho letto il dittico messicano di Valerio Evangelisti e pure quello l’ho letto con interesse (Evangelisti è un bravo scrittore ed è l’inventore di uno dei più bei personaggi della letteratura popolare italiana recente) ma avevo l’impressione che l’aspetto storico-politico molte volte si mangiasse il romanzesco (che quando emergeva era pure interessante ma secondo me non sufficientemente sviluppato).
    Scusate l’OT

  7. Scusate, completo il pensiero: “Lo scrittore deve scrivere la storia che vuole scrivere nella maniera più efficace, deve coinvolgere il lettore con trame appassionanti (e se sesso & violenza sono necessari alla storia allora che ce li metta e li racconti come ritiene più opportuno) e personaggi ben delineati e coerenti col genere o coi generi letterari scelti e con le atmosfere che si intende evocare e creare, poi a qualche lettore il libro piacerà e ad altri no ma questo è nelle cose”

  8. Paolo, se un autore/autrice del filone storico rilascia interviste sottolineando ripetutamente di essersi documentato e poi, nella stessa intervista (e di interviste un po’ sciatte in giro se ne leggono) compaiono affermazioni (leggi inesattezze e sfondoni storici) che smentiscono quello che lo scrittore/scrittrice ha appena detto, io come lettrice mi sento un po’ presa in giro. Tutto qui. E penso che le motivazioni di certe dinamiche possano essere rintracciate in situazioni che spesso, su questo blog, sono state suggerite: eccessiva velocità (si stampano troppi libri), mode passeggere (adesso lo storico “tira” quindi sforniamo un tot di titoli di questo tipo), etc…

  9. con la sola voglia di esporre dubbi, premettendo che leggerò il libro eccetera. ma da un punto di vista giornalistico e culturale, nel senso di creare consapevolezza, è salutare un titolo come Se questi sono gli uomini, la strage delle donne; oppure parlare di guerra in atto? auspicando il convolgimento sempre maggiore degli uomini?
    davvero con tutto il rispetto e il tatto possibili, visto il tema.

  10. Il problema del femminicidio, dice Loredana, esiste e va affrontato, anche dagli uomini …
    Ora, se nel 2011 le vittime di femminicidio sono state 137, la percentuale di uomini coinvolti è bassisima: lo 0,00071% dei 19.245.585 (diccianovemilionietc.) di maschi in età compresa tra i 18 e i 65 anni. Ben poca cosa, direi (in termini di rilevanza sociale, perché una morte è sempre un dolore, per chiunque). Parafrasando il titolo del libro di Iacona, direi che gli uomini non sono quello …
    Diversa la questione della violenza in famiglia. Le violenze “accertate”, di qualisiasi tipo esse siano, hanno riguardato 6.734.000 donne. Supponendo che ogni violenza sia stata opera di un singolo maschio, e sempre prendendo a riferimento l’età compresa tra i 18 e i 65 anni, i maschi violenti sono il 35% del totale. Cifra significativa. Ri-prendendo il titolo di Iacona, molti uomini sono quello …
    Tutto ciò per dire che mi pare più urgente lavorare culturalmente sulla seconda dimensione, più che sul femminicidio … Sono collegati? No, non lo sono; o per lo meno non lo sono automaticamente. In fondo, dei maschi violenti solo lo 0,0020% arriva all’omicidio …
    Marco P.

  11. Io non credo che il femminicidio possa essere ridotto a un problema di numeri (che sono bassi in rapporto alla dimensione complessiva dei fenomeni criminali, è vero). C’è da cogliere quel particolare fatto, e cioè che questo crimine si rivolge contro le donne “in quanto donne”, ed è perciò diverso dal crimine che potrebbe commettere un rapinatore che uccide un ostaggio durante una rapina. Mi guarderei, perciò, dall’affermare che il problema non esiste in quanto fenomeno specifico, o che sia marginale. Detto questo, devo anche testimoniare un certo mio personale fastidio quando leggo numeri a casaccio, o non leggo quelli che dovrebbero corredare certe affermazioni. Oggi, per esempio, un articolo di Repubblica sul tema parlava di “triste primato dell’Italia”, concetto che si ritrova nel dibattito sul femminicidio. Io ho cercato a lungo numeri sui confronti internazionali, e non ne ho trovati di attendibili. Volendo dare credito a qualche fonte anche ufficiale, ma un po’ lacunosa, ne emerge che ci sono parecchi paesi messi molto, ma molto peggio di noi, e non nel terzo mondo: a memoria mi pare di poter citare la Germania, e forse anche la civilissima Danimarca. Io non credo che il femminicidio possa essere ridotto a un problema di numeri (che sono bassi in rapporto alla dimensione complessiva dei fenomeni criminali, è vero). C’è da cogliere quel particolare fatto, e cioè che questo crimine si rivolge contro le donne “in quanto donne”, ed è perciò diverso dal crimine che potrebbe commettere un rapinatore che uccide un ostaggio durante una rapina. Mi guarderei, perciò, dall’affermare che il problema non esiste come fenomeno specifico, o che sia marginale. Detto questo, devo anche testimoniare un certo mio personale fastidio quando leggo numeri a casaccio, o non leggo quelli che dovrebbero corredare certe affermazioni. Oggi, per esempio, un articolo di Repubblica sul tema parlava di “triste primato dell’Italia”, concetto che si ritrova spesso nel dibattito sul femminicidio. Io ho cercato a lungo numeri sui confronti internazionali, e non ne ho trovati di veramente robusti. Volendo dare credito a qualche fonte anche ufficiale, ma un po’ lacunosa, ne emerge che ci sono parecchi paesi messi molto, ma molto peggio di noi, e non nel terzo mondo: al netto di una memoria (la mia) non brillantissima, mi pare di poter citare la Germania, e forse anche la civilissima Danimarca. E comunque, non esistendo statistiche realmente comparabili, non capisco su quale base si facciano affermazioni del genere. E’ un vecchio vezzo, quello di voler aggiungere artificialmente ulteriore drammaticità alle emergenze, finendo fatalmente per scivolare nell’isteria (accusa a cui è facilissimo prestare il fianco). Ma che bisogno c’è, mi chiedo io, di condire la denuncia di un fenomeno negativo con affermazioni a casaccio? Se i numeri ci sono si citano, altrimenti si usano quelli che si hanno senza inventarne altri. Fosse pure un solo caso all’anno, la fine violenta di una vita umana non è di per sé un fenomeno sufficientemente grave da meritare attenzione?

  12. Aggiungo anche un altro paio di considerazioni. Intanto, che tipo di intervento chiediamo al Parlamento? Non è che si possa semplicemente chiedere un aggravio di pena per chi uccide una donna, a mio avviso: le vite umane dovrebbero essere tutte ugualmente preziose, senza contare il fatto che pene più severe non hanno mai scoraggiato nessuno dal commettere crimini (si veda il tasso di criminalità statunitense, dove pure hanno la pena di morte). Magari si può pensare ad un’aggravante sul modello di quella prevista per gli atti a sfondo razziale, non so, non sono un giurista. Sono però piuttosto convinto che su questo terreno si possa ottenere poco più di una grida manzoniana, dal punto di vista dell’efficacia. Giusto, quindi, chiamare in causa gli uomini perché parlino, si impegnino, si facciano carico del problema. Solo che – il dubbio non mi abbandona – richiamo di perseguire un falso obiettivo, se continuiamo a parlare “solo” di femminicidio. Sempre guardando ai numeri, e ce ne sono tanti, non è che gli uomini si limitino ad ammazzare le donne: di circa 6 o 700 omicidi che ogni anno vengono commessi in Italia (molto pochi, nel confronto internazionale), le vittime di sesso femminile sono circa un quarto, mentre l’omicida è maschio in una percentuale intonro al 90 per cento dei casi. Il che sembrerebbe indicare, senza smentire che un fenomeno chiamato femminicidio esista, che gli uomini sono semplicemente più propensi delle donne a considerare la violenza come un’opzione praticabile. Fino alle sue forme estreme. E quindi uccideranno donne “in quanto donne”, picchieranno immigrati “in quanto immigrati”, daranno fuoco a clochard “in quanto clochard”, nel senso che nessuno di questi crimini verrebbe commesso se la vittima non avesse quella particolare connotazione: donna, immigrato, clochard. La mia è ovviamente solo un’ipotesi che andrebbe verificata con metodi di indagine appropriati, ma se fosse vera inquadrerebbe il problema dei femminicidi in un’ottica più vasta e più grave: noi uomini dovremmo interrogarci sulla nostra propensione alla sopraffazione violenta dei soggetti (anche solo fisicamente) più deboli. Altrimenti, temo, chiedere a uomini potenzialmente violenti di smettere di picchiare la moglie senza farli interrogare sul perché – magari – brutalizzano psicologicamente i propri collaboratori in ufficio non avrà alcuna efficacia nell’impedire che qualcuno di loro, un giorno, passi il confine e commetta l’ennesimo femminicidio.
    Secondo me ci vuole uno scatto, anche concettuale. Senza questo, sono poco fiducioso in una possibile soluzione del problema, o anche soltanto in una sua mitigazione.

  13. @ Maurizio
    I numeri sono riferiti al titolo del libro: «Se questi sono gli uomini. Italia 2012. La strage delle donne». La presenza dell’articolo «gli» rende il messaggio del titolo un assoluto, mentre i dati, al contrario, dimostrano che solo una parte esigua di uomini concorre a fare la «strage» (lo 0,00071%!!). Insomma, gli uomini NON SONO quella cosa che il titolo lascia intendere. Se il titolo fosse stato: «Se questi sono uomini», il messaggio sarebbe stato meno assoluto e anche più efficace. Punto.
    Certo che il femminicidio non vada ridotto a un problema di numeri. Ma i numeri sono importanti; contribuiscono a delineare con precisione la valenza sociale del fenomeno. A me non pare indifferente sapere che degli oltre 6 milioni di eventi violenti contro la donna solo lo 0,0021% sono omicidi. Mi permette, ad esempio, di non tracciare una linea retta che dalla violenza familiare porta al femminicidio. E mi permette di sospettare che dietro il femminicidio covino una serie di problemi non immediatamente rapportabili al “genere”, problemi soprattutto di natura psicologica. Lo dissi già in precedenza: pensare che le 137 donne siano state uccise solo «in quanto donne» non rende giustizia né alle vittime né alla verità. Ancora punto.

  14. il fatto che non tutte le persone con un temperamento violento e prepotente sono uguali, l’uomo che brutalizza psicologicamente (o non solo) un collega di ufficio non è detto che sia lo stesso che picchia la moglie e viceversa..certo può capitare che coincidano ma anche no

  15. Se parliamo di regole generali, è sempre possibile trovare un controesempio che “smentisce” una certa affermazione. Il fatto è che qui bisogna cercare di estrarre un filo conduttore che non potrà essere verità assoluta, ma qualcosa di vero in senso statistico, e cioè in una certa maggioranza di casi. Ora, pur non avendo abbastanza informazioni per poter affermare che chi uccie un’altra persona debba per forza aver dimostrato anche in altre situazioni una tendenza a cedere alla violenza, confesso che faccio molta fatica a credere che questo non sia molto spesso vero. Che uno che è sempre stato sereno e tranquillo con se stesso e con gli altri di botto prenda una pistola o un coltello e faccia un macello. Magari era uno represso, ma che fosse sereno mi pare poco probabile. Ma certo, qui ci vorrebbe un’indagine più seria, e il parere di qualche vero esperto. Io, per quanto ne posso capire, insisto a dire che quando uno arriva ad ammazzare qualcuno – e in particolare una moglie, una fidanzata – la sua storia se riletta poteva contenere i semi di quanto accaduto.

  16. Dico solo una cosa. E’ triste, davvero, che ogni volta che si solleva la questione (qui, sul Fatto, sui social media), gli uomini intervengano solo opponendo i numeri. Anche se quelle cento donne fossero un’assoluta minoranza, l’idea che ci siano ancora – e chi leggerà il libro lo toccherà con mano – uomini che reagiscono alla messa in discussione di un ruolo antico con la violenza (verbale, fisica, mortale), questa dovrebbe essere l’occasione per riflettere su se stessi. Non avviene. E’ infinitamente triste, appunto. E non risponderò alla polemica. E’ pavloviano, ormai. Alla parola “femminicidio” scendono in campo gli statistici. Pavloviano e, aggiungo per la terza volta, tristissimo.
    Ps. L’aggravio di pena non serve. Servono centri antiviolenza, soldi per i medesimi, educazione nelle scuole.

  17. Cara Loredana, per quello che mi riguarda confesso che mi addolora, in quanto uomo (e pure statistico, ahimè), la tua considerazione di qualche commento sopra. Evidentemente, una volta di più, non sono riuscito a farmi capire. Però ci vorrei riprovare. Non so quanto interessi, ma provo a offrire il punto di vista di uno che di mestiere parla con i numeri. Ai numeri e con i numeri. Non so se è anche il punto vista “degli uomini”, che a quanto pare i numeri li citano spesso: posso garantire solo per me stesso. Intanto una premessa: i numeri sono un linguaggio e per certi versi “il” linguaggio, se si pensa che le prime testimonianze di scrittura sono nient’altro che tavolette numeriche, contabilità. Una delle istanze fondamentali, da quando si è iniziato a parlare di femminicidio, è stata ed è l’invocazione di una rivoluzione nel linguaggio con cui certi fatti vengono raccontati. Giustamente, non se ne lascia passare una a quanti si attardano ancora a scrivere di femminicidio come dramma passionale, eccesso d’amore et similia. E allora perché la distorsione del linguaggio, la sciatteria e in definitiva la bugia vera e propria non devono rientrare in questa operazione fondamentale di igiene del pensiero e della comunicazione e anzi si rimbrotta chi le vuole evidenziare, quando ad essere usati come oggetti contundenti sono i numeri? Perché questo e nient’altro ho voluto dire io. Non so gli altri, ma io questo intendevo: se si usano numeri per comunicare o si fanno affermazioni che ne implicano il supporto, bisogna che quei contenuti siano veri, come si pretende per qualsiasi altra affermazione. Altrimenti è meglio non usarli: stiamo parlando di vite umane, anche una sola è un prezzo troppo alto da pagare, che bisogno c’è di rafforzare con contenuti farlocchi un discorso già così drammatico di suo? Ma non è solo questo, non è che chi parla con i numeri non abbia un cuore, pensiero che sembra sempre trasparire da certi irrigidimenti degli interlocutori: Russians love their children, too, cantava Sting parecchi anni fa. Provate a immaginare: passate una vita a ricercare l’oggettività, per quanto di oggettivo ci possa essere nei comportamenti degli esseri umani; vi lambiccate per anni, decenni, il cervello su cosa si possa nascondere in termini di pensieri, emozioni, implicazioni dietro quella cortina fumogena di simboli esoterici, e alla fine trovate un metodo, un sentiero, un criterio che vi permette di orientarvi, di tradurre in realtà concreta quel groviglio di astrazioni. Con gli anni inizia a venirvi naturale sentire e ragionare su due piani: quello delle emozioni, dell’empatia o dell’antipatia, ma sempre con dentro un tarlo che vi spinge a chiedervi se davvero è così, se non c’è magari dietro una qualche forma di pregiudizio o di conformismo, se non esiste magari un altro modo di leggere quello che tutti traducono in una certa maniera. Diventa impossibile, alla fine, fare a meno di questo modo di analizzare la realtà. Che non è una deformazione, è un arricchimento. Nel mio caso specifico (e ripeto che parlo solo per me) certe considerazioni ispirate dall’intepretazione dei numeri si sono trasformate in riflessione, in azioni concrete, anche se a quanto pare la cosa non è evidente. Quando dico che analizzando i numeri a me viene il sospetto che il problema vero non sia “solo” il femminicidio, ma la contiguità del mio genere di appartenenza con la violenza, credo di stare enunciando una tesi (tutta da verificare, certo) dirompente. Sto dicendo che la riflessione che tu solleciti, Loredana, deve essere molto più profonda di quanto immaginato e coinvolgere l’intero individuo, non solo il suo rapporto con la compagna o i figli. Ed è una riflessione che applico prima di tutto a me stesso, è una cosa che nascendo da una analisi del tutto concettuale mi ha turbato profondamente, mi ha spinto a considerare con maggiore profondità i criteri che con mia moglie ci siamo dati nell’educazione dei nostri figli, a rivederli, a condividere queste perplessità con un amico analista esperto di problemi dell’infanzia, a parlarne con amici e colleghi. Questo per me significa rispondere all’appello che giustamente ha chiamato in causa la riflessione maschile, e se questo non è quanto sollecitato allora mi dispiace, mi dichiaro non all’altezza. Forse si desidererebbe stimolare una riflessione di carattere più collettivo, in forma di dibattito il più possibile pubblico, ma se è così suggerirei (molto sommessamente, perché potrei anche stare per dire una fesseria gigante) una riconsiderazione. Può darsi che una modalità del genere non sia la più consona al modello di comunicazione maschile, e forse non è un caso che a intervenire in contesti come questo blog noi uomini siamo quasi sempre in pochi. Se si vuole una risposta, forse più che reiterare la domanda occorre riformularla. Se gli uomini si ostinano a parlare di numeri anziché di vissuti personali, forse quel segmento dei contenuti della comunicazione andrebbe considerato sotto un’altra luce, ci si potrebbe sforzare di capire perché per gli uomini i dati (almeno su questo fenomeno) siano così importanti, e magari per questa via si potrebbe arrivare a una prima condivisione, stabilire un primo contatto. Che potrebbe anche non fermarsi lì, con buona pace di Croce e Gentile, autentici responsabili della devastante dicotomia che da un secolo separa in italia i contenuti “umanistici” (ed emozionali, aggiungo io) da quelli “scientifici” (e pertanto aridi, chioso sempre io). Insomma, Loredana, a me sembra che tu e molti altri scambiate per fuga dal problema, o peggio ancora per negazionismo, quello che per persone come me è un elementare bisogno di verità e di igiene della comunicazione. Uno statistico serio, come qualsiasi altro professionista degno di questo nome, sa che il proprio mestiere non esaurisce la lettura della realtà (per fortuna). E sa pure, però, che qualcosina è in grado di dirla. Per cui, mette a disposizione quello che ha in aggiunta (e sottolineo in aggiunta, non al posto di) a quello che fino a quel momento si è detto. Tutto qui. Non so se questo è lontano o no dalla riflessione che il movimento femminile si aspetta: per quanto mi riguarda, confesso di non essere certo di poter andare molto oltre. E, sia detto senza alcun intento provocatorio, non so davvero quanti siano gli uomini in grado di farlo. Per cui, suggerirei a tutti quelli che si dicono – come anch’io mi dico – seriamente interessati ad una riflessione sulla propria potenziale carica di violenza di genere (anzi, per come la penso io sulla propria carica di violenza, e basta) di mettere meglio in chiaro che cosa si intende, con riflessione. E di essere pronti a rimettere in discussione il proprio concetto di partenza, se dovesse risultare inadatto ad ottenere le risposte ritenute necessarie. E scusate la lunghezza eccessiva, che certamente non aiuterà molto, temo, questo mio tentativo di farmi capire…

  18. Auguro a Greco tutta la fortuna possibile, però io questa cosa della narrativa che amplifica e analizza crimini e vittime la trovo esteticamente macabra ed epistemologicamente scorretta.
    La biografia è già romanzo quando riguarda persone passate alla storia per le loro opere, ma almeno c’è il gusto di vedere fino a che punto il biografo è stato fedele a quello che noi pensiamo di un grande, a partire da ciò che ha lasciato. Possiamo scoprire che Napoleone era un tappo e gli puzzavano le ascelle, ma nessuno discuterà il suo genio strategico.
    Questi lavori, invece mi fanno pensare a una forma raffinata di cannibalismo della personalità, che fa da pendant al voyeurismo di certo lettore, ma anche al bisogno di simboli di un sociale defunto.
    Perchè una donna o un uomo dovrebbe diventare personaggio letterario solo sulla base del crimine che ha subito o compiuto? Non è lesivo per la verità intima di quel soggetto? Non sarebbe meglio che lo scrittore si prendesse la responsabilità dell’invenzione per veicolare i suoi pensieri sul femminicidio, anzichè giocare di rimessa su un cadavere?

  19. È triste notare come il mio commento di ieri sera continui a non apparire. Voglio immaginare che sia una questione di «spam» e non di censura preventiva.
    In ogni caso, credo che Loredana riferisse il suo commento acido a me, essendo io quello che ha dato i numeri.
    Come chiunque può verificare, non ho insultato e non ho nemmeno aggredito verbalmente qualcuno; ho solo detto che il femminicidio è una parte irrilevante dell’insieme della violenza di genere. Non ho dunque detto niente che potesse, neanche lontanamente, avvicinarmi agli idioti che commentano il libro di Iacona sul Fatto. Ritengo che sia più importante agire, dal punto di vista culturale, sulla violenza familiare che non sul femminicidio; ritengo altresì (e i numeri lo dimostrano) che non ci sia nessuna relazione tra i casi di femminicidio e il dispiegarsi allarmante della violenza contro le donne. Le cause di un omicidio sono SEMPRE molteplici; ridurre tutto alla frasetta «uccise in quanto donne» non aiuta.
    Ho anche fatto notare, sempre con i numeri, che il titolo del libro di Iacona è sbagliato, giacché lo scenario che sottintende non corrisponde alla realtà.
    La reazione stizzita di Loredana mi ha fatto sorgere una domanda … È evidente che certi discorsi, quello sul femminicidio compreso, non attecchiscono a livello di massa, restando confinati in piccole nicchie; per quanto possano godere di attenzione mediatica, le difficoltà nel diffonderli sono evidenti.
    La domanda è allora la seguente: non è che dipende alnche da certi modi arroganti di reagire nei confronti di chi, pur sentendosi vicino (per lotte e tematiche), osa esprimere qualche dubbio?
    Qui, più che altrove, si parla spesso di linguaggio, delle attenzioni che ognuno dovrebbe mettere nell’uso delle parole … Io l’ho fatto sul titolo di Iacona e ne ho ricevuto “sberle”; ma anche le “sberle” – le tonalità della scrittura – sono linguaggio: linguaggio che esclude e allontana. Non è triste anche questo?

  20. Mp, io non ho cancellato alcun commento: a meno che il suo IP non corrisponda a quello di Hommequirit, che su questi argomenti usa commentare in modo quasi identico. Ma sono sicura che si tratta di una coincidenza 🙂
    Solo una precisazione. Io mi sono limitata a constatare una reazione automatica: non credo sia corretto definire “stizzita” e “arrogante” la mia risposta. Non lo era. Non a caso, ho usato l’aggettivo “triste”. Ero, e sono, triste. Credo che sia un’occasione mancata. Perché ribadisco quel che ho detto: non si riesce a parlare di femminicidio senza che una raffica di commenti maschili riporti il discorso sui numeri. In modo più o meno approfondito, più o meno cortese, più o meno sensato. In proposito, se non vi dispiace, riporto qui sotto il podcast dell’intervista di Riccardo Iacona ieri a Fahrenheit. Mi auguro vivamente che le parole di un uomo siano più convincenti di quelle di una donna.
    http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/popupaudio.html?t=FAHRENHEIT+del+08%2F10%2F2012+-+Conversazione+con+Riccardo+Iacona&p=FAHRENHEIT+del+08%2F10%2F2012+-+Conversazione+con+Riccardo+Iacona&d&u=http%3A%2F%2Fwww.radio.rai.it%2Fpodcast%2FA42513638.mp3

  21. Anch’io sono triste allora. Sul problema della statistica avevamo già discusso ampiamente mesi e mesi fa: più di cento donne uccise per mano del compagno in un anno sono tante rispetto all’epoca in cui viviamo, che dovrebbe essere un grado più avanti come civiltà di rapporti tra quell’uomo e quella donna che scelgono di starsi accanto credendo di amarsi e desiderarsi sessualmente. Sono tanti. quegli omicidi, in questa prospettiva, perché il mondo si è assolutamente evoluto rispetto al nostro passato (democrazia, voto, leggi, divorzio, libertà sessuale, censura, etc.) ma non l’ha fatto in maniera proporzionale sul piano degli affetti e delle relazioni sessuali. Abbiamo leggi che ci permettono il divorzio ma ci si separa scannandosi. Basta questo per farci capire la nostra incapacità nell’accettare la natura degli affetti e delle relazioni sessuali.
    L’altro problema è la totale incapacità di vedere in profondità la tematica del femminicidio, che è assolutamente correlata con la violenza domestica e lo stupro. Paradossale che questo fatto venga proprio messo in rilievo da quell’opinione cui facevo riferimento sopra, citata da Lipperini al link (al quale a suo volta si rimanda al Fatto). Certo esordire con “la colpa è delle donne” risulta, nel migliore dei casi, inutilmente provocatorio se non insultante. Ma quanto segue è uno specchio abbastanza fedele della realtà. Perché non esiste caso di femminicidio che non abbia ampiamente messo in luce la progressione conflittuale in atto nella coppia (si arriva a casi limite in cui l’omicida era già stato denunciato per molestie varie). E quando si parla di conflitto si intende da entrambe le parti. Carnefice e vittima si cercano. L’una non riesce a sottrarsi all’altro. Cielo, è peraltro l’unico aspetto che quel filmtv della Cavani era riuscito a mettere in scena chiaramente. Allora, siamo cocciuti, tonti, distratti, recidivi all’occultamento delle ragioni psicologiche che innescano la violenza in famiglia o che altro?
    Ripeto, i commenti del Fatto non mi interessa leggerli. Mi interessa di più sezionarne uno citato ad esempio (negativo) per dimostrare che nel profondo di quella mente che l’ha generato non vive il “male assoluto” (tipica paranoia neo-fem la cui origine cattolico-reazionaria è chiarissima) ma la confusione degli affetti.
    Ma è tempo perso. Questi blog (lipperatura, corpodelledonne, disambiguando anche FaS) quando si occupano di femminicidio, sessismo, maschilismo, abuso dell’immagine della donna, etc. non riescono in alcuna maniera (rarissime le eccezioni) a cambiare linguaggio, approcci critico ideologici e quelle attitudini d’analisi che la stessa Lipperini, prima della pausa estiva, si augurava s’evolvessero in altro: cambiare metodi e parole o qualcosa del genere, correggimi se sbaglio.

  22. L’ho sentito Iacona e no, non mi è piaciuto. Oddìo, io non avevo da essere convinto, né da un uomo né da una donna, dato che convinto lo sono già. Magari il suo discorso sarà utile a far aprire gli occhi a qualcuno che finora li ha tenuti chiusi, perché la sincerità e l’accoratezza traspaiono dal suo racconto. Ma quanto a far capire qualcosa di più della cosa di cui si sta parlando, francamente no, a me non ha fatto capire pressoché niente. Dei numeri non parlo più, sennò pare che uno sta facendo la contabilità con le donne ammazzate o vuole sminuire la gravità del fenomeno, e non è mai stato questo il mio intento, nella maniera più assoluta. Ma anche lui ne spara a casaccio, non sto a spiegare perché. Mi compro il libro, magari lì è più circostanziato.

  23. @ Maurizio
    però scusa, il libro non è stato scritto per capire cosa c’è all’origine della violenza umana, ma per far prendere coscienza di un problema. con la speranza che nel tempo lo stato rafforzi il suo intervento in direzione preventiva e assistenziale e che cambi la mentalità delle persone. quello che è difficile capire è: 1 – per come è messo il discorso in rete la dinamica è quella dello scontro a chi è peggio. 2 – la riflessione come si fa? ognuno per conto suo? si coinvolgono gli amici? a me viene in mente solo ecce bombo. faccio un esempio, piccolo e insignificante. con i miei amici ogni tanto butto là un qualche vago riferimento al femminismo, ma va a finire sempre a battutine.

  24. @ @___@: non lo so, come si possa strutturare la riflessione. O meglio, non so come si possa fare collettivamente. Nel privato, devo essere sincero, la mia esperienza non è complicata come la tua. Non che manchino le battutine e le battutacce, sarebbe forse pretendere troppo, ma al fondo il discorso viene preso molto sul serio. Sarà forse che, avendo bambini piccoli, tendiamo a frequentare persone nella stessa situazione e quindi naturalmente interessate all’evoluzione dei loro figli, come noi. E sono svariati i padri che si pongono il problema della violenza, già nei giochi, o nelle manifestazioni di genere. Questo sguardo retrospettivo per interposta persona – i bambini – fa interrogare più d’uno sulle proprie modalità di azione nei rapporti di genere, e su come queste modalità possano essere maturate a partire dalla prima infanzia. Spesso ne parliamo tra noi, così come se ne parla al lavoro. Lì c’è (ovviamente) la commissione pari opportunità, della quale ho tentato senza successo di far parte, e che comunque nella nostra realtà lavorativa è molto immobile e funzionale essenzialmente a distribuire incarichi sindacali. Il tema del femminicidio io l’ho proposto, ma la CPO non ha ritenuto di doversi spendere, giudicando che non fosse un problema impellente in ottica aziendale. In rete ci sono dei blog, come ad esempio maschileplurale, ma non ho mai trovato un gran feeling con questi gruppi. Io credo che una nostra riflessione strutturata, come uomini, potrebbe passare attraverso la politica. E’ lì l’arena in cui ci si confronta e si stabilisce cosa fare, ed è lì che potremmmo incontrarci/scontrarci per trovare una soluzione al problema. Solo che la politica, oggi, è talmente sputtanata e alienata alla finanza che è quasi impossibile usare quell’agorà per parlare di qualcosa che non sia lo spread.

  25. Ciao Loredana,
    da circa un paio di mesi è rinata Eumeswil, dopo l’esperienza naufragata male del nuovo marchio Sottovoce (nonostante un libro di Sottovoce sia finalista al Premio Settembrini, ma per merito di Giacomo Sartori il cui libro Autismi è un piccolo capolavoro). Dopo due anni devastanti di fatica e stenti e soprattutto dopo aver chiarito definitivamente la nostra situazione contrattuale con PDE, ho deciso di riaprire e di riprovarci. Mi hanno convinto moltissimi autori che mi hanno persuaso a non mollare e a non buttare via dieci anni della mia vita.
    Volevo cambiare mestiere, ma non ne ho avuto la forza e così sono ripartito. Per dirti che con Alessandro Greco stiamo firmando il contratto per il libro di cui parli e che anche a me è parso molto interessante. Una delle rare proposte interessanti che ci sono in giro. Lo faremo in tempi relativamente brevi, questo libro.
    Come in passato ho pubblicato certi libri che nessuno voleva pubblicare, lo faccio anche ora. Grazie fin d’ora se vorrai dare attenzione ulteriore alla cosa e ovviamente ti terrò informata sul work in progress.

  26. “con i miei amici ogni tanto butto là un qualche vago riferimento al femminismo, ma va a finire sempre a battutine.”

    La “battutina” è un residuo o un deriva della satira. Quindi esiste un minimo di coscienza sulla problematica. Molto peggio quando qualcuno ti guarda attonito non capendo di cosa stai parlando. Se c’è voglia di buttarla in vacca significa che il problema è più o meno conosciuto, orecchiato. Ad es. la nota “battutina” che Lipperini ama ricordare ogni tanto, quella sulle femministe “racchie e pelose” (o forse la fa la Zanardo, boh, non ricordo bene) non nasce dal nulla. E’ storicamente accaduto e sta accadendo ancora che nel fiume carsico del femminismo si uniscano molte donne con grossi problemi di identità femminile, che da sempre individuano nel potere seduttivo ed erotico del corpo della donna, un livello di degenerazione di ciò che potrebbe essere inteso con femminilità e identità della donna sia a livello privato che pubblico, dunque sociale e politico. La questione è complessa, perché anche sul versante maschile il potere seduttivo del corpo viene spesso individuato (specie appunto dalle neo-fem) come prerogativa di area omosessuale (in altre parole il “maschio che deve puzzare” fa il paio con “la donna che non si deve depilare”). Ma rimanendo al femminile, si noti un post di Zanardo (sul suo blog intendo) che enfatizza ideologicamente il look della Preciado
    http://blogimgs.only-apartments.com/images/only-apartments/785/gender-beatriz-preciado.jpg (tanto originale quanto affascinante) come se fosse possibile farne un’arma di battaglia da applicare su larga scala: “me li faccio pure io i baffettini” dice la Zanardo… Ora diranno che era una battuta, una provocazione. Appunto, la battuta finisce per evidenziare molti dei nostri problemi. Si tratta di analizzare a fondo le battute, esattamente come le espressioni di becero maschilismo. Anche così si cambia il mondo. Se questo è poi il vero obiettivo e non semplicemente la scalata al potere in stile Snoq.

  27. Binaghi: è curioso notare che a te questa operazione pare macabra, scorretta e disgustosa mentre i parenti delle vittime (che dovrebbero – secondo te – disgustarsi) mi chiamano per ringraziarmi.
    Prima leggeteli i libri, poi, se vi va, parlatene.
    Saluti.

  28. in linea generale i parenti delle vittime sono spesso peggiori del carnefice che ha compiuto l’atto finale. basti pensare ai casi di stupro, di pedofilia, di infanticidio. E’ un dato che traspare agli occhi di chiunque abbia indagato a fondo i conflitti che scatenano queste vicende oggi sempre più intollerabili

  29. Certo certo. E un dato di fatto che, in generale, è usuale parlare di libri – male – senza averli letti. In questo caso il libro nemmeno esiste. Se ne parla male a prescindere. 🙂

  30. @Greco
    Invece d’indignarti prova un po’ a rileggere quel che ho scritto.
    Riguarda non il tuo progetto in quanto tale ma tutta una “narrativa che amplifica e analizza crimini e vittime” per la quale provo – a prescindere dalla qualità letteraria dei risultati, che ovviamente non si può discutere se non avendo letto il libro – una forte resistenza a priori, di tipo etico, e che ho spiegato. E’ il motivo per cui, ad esempio, mi sono rifiutato di leggere Elizabeth di Paolo Sortino, su cui pure ho avuto giudizi positivi da parte di amici-lettori stimabili.
    Sarò libero di avere degli a-priori o mi devo ingurgitare tutto perchè la (sotto)cultura lo esige?

  31. Quoto Binaghi (da non credere 🙂 ), e poi non mettiamo in giro (cfr Murgia) quest’idea che non ci siano libri, saggi intendo, sull’argomento “violenza di genere”.

  32. Che significa? Non ci sono abbastanza libri neanche su Beethoven allora… Cominciassimo a leggere quelli già scritti forse faremmo qualche passo in avanti. Capisco che guardando nella vetrina di una libreria generica ci trovi solo x e y ma basta digitare un paio di parole chiave su amazon o ibs per essere travolti da una serie di libri sull’argomento. Alcuni scritti anche da uomini.

  33. Significa che evidentemente non sono abbastanza efficaci. Poi, se vuoi che io ti dia ragione te la dò, guarda. La pensi diversamente da me? Bravo, bene, bis. Non è un demerito per me, non è un merito per te.

  34. Lipperini, rilassati, che oggi è una giornataccia orrenda per tutti. Per dire che non siano stati efficaci bisognerebbe anche sapere quanto siano stati letti, compresi e/o accettati. Poi posso anche essere d’accordo. In altre parole se libri che contano, e che storicamente potrebbero averci insegnato qualcosa, sono passati sotto silenzio, per vari motivi finiti nel dimenticatoio, ne risulterà che il grosso della fascia di lettori più giovani possa anche ignorarne l’esistenza. Da qui a dire che non sono stati efficaci… Io ci andrei cauto. Non credo nello strillone, credo di più nella curiosità. Ecco perché rovistare tra cataloghi mi fa propendere per la mia tesi. Perché sia chiaro che delle decine di testi disponibili ne ho letti pochi. Ma vedo che ce ne sono tanti che vorrei prendere anche solo per sfogliarli.

  35. Luz, è per questo che non mi rilasso. Non mi rilasso quando commentatori come te, e come altri, vengono qui e frequentano i blog delle donne per poter affermare un punto di vista già dato, il proprio, e non scalfibile. Mi chiedo: a che serve? A sentirsi più forti? A sentirsi contenti? A provare cinque minuti di personale soddisfazione? A dirsi: ehi, ho vinto anche oggi?

  36. Un blog pubblico è letto da migliaia di persone, pardon, centinaia di migliaia; le opinioni vanno e vengono ma alcune restano. Se restano le tue (o quelle di Zanardo, tanto per fare il solito esempio; anzi, aggiungiamo pure un uomo, Gasparrini di FaS; anzi due, Binaghi) a me preoccupa non poco la sorte di questo paese (il perché l’ho spiegato decine di volte dei mesi/anni passati); se restano le mie sarete preoccupate voi? Boh, forse no, vi dà solo fastidio… (sul concetto di “idee” è chiaro che stia generalizzando: infinte volte Zanardo s’è trovata perfettamente d’accordo con quel che scrivevo e ieri ero d’accordo io con Binaghi). In ogni caso essendo questo un blog aperto al pubblico le voci contro sono da accettarsi per quello che sono. Altrimenti si fa un blog privato a iscrizione limitata: leggono tutti ma scrivono solo i vostri sostenitori. Ora, salvo altri chiarimenti per me l’avventura finisce qui. Ringrazio per l’ospitalità (quella più recente, non quella di un annetto e più fa, funestata dalla censura 🙂 ) e a risentirci altrove.

  37. Tanto per chiarire una volta per tutte. Un blog è gestito da una singola entità. Quella singola entità non è tenuta ad essere sempre “rilassata” e olimpica quando con regolarità gli si rivolgono toni saccenti, o arroganti, o provocatori, o irridenti. Non c’entrano niente le voci dissenzienti: questo è un comodissimo alibi (ah, giusto, la censura: quella è la seconda parola che usate) per non mettersi mai, mai, mai in discussione. Ci sono state e ci sono infinità di voci dissenzienti, qui. Ma c’è una differenza fra discussione pubblica e la messa alla prova di chi scrive, senza un cedimento, senza un dubbio, senza un’autocritica. Come dicono, giustissimamente, altre blogger (Femminismo a Sud), una titolare di blog non è una badante, non cura le problematiche e, talvolta, le patologie dei commentatori. E quando il tono dei commentatori medesimi è irritante, lo dice. Quando è insultante, o quando diventa trolling manifesto, banna. Ed è suo sacrosanto diritto farlo, caro Luz 🙂 Non intendo privarmi della tua intelligenza: mi privo volentieri dell’altrui arroganza, però. Se permetti. Pace, bene e a risentirci. Anche qui.
    Ps. Altrimenti, potrei prendere in considerazione anche io l’iniziativa di FaS. Le badanti si pagano 😀
    http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2012/06/22/su-fas-webline-il-servizio-di-badante-virtuale/

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